Luigi Zingales, Il Sole 24 Ore 9/12/2012, 9 dicembre 2012
BANCA D’ITALIA, GENERALI E LA «QUOTA DEI CONFLITTI»
Le privatizzazioni non sono molto popolari nel nostro Paese. Non stupisce quindi che anche sotto il governo di un liberale come Monti non si siano stati fatti passi in avanti verso una riduzione del potere politico sull’economia. Stupisce invece il movimento in direzione inversa: grazie all’attivismo della Cassa depositi e prestiti (Cdp), il potere economico dello Stato sta aumentando.
Ma fa veramente male che ad aiutare questo processo di nazionalizzazione ora sia la Banca d’Italia, se è vera la notizia del conferimento al Fondo strategico (emanazione della Cdp) di un pacchetto pari al 4.5% di Assicurazioni Generali. L’alienazione a terzi di questa quota entro il 31 dicembre si era resa pressoché necessaria dopo che il governo aveva trasferito a Bankitalia la supervisione delle società assicurative una volta in mano all’Isvap. Le privatizzazioni non sono molto popolari nel nostro Paese. Non stupisce quindi che anche sotto il governo di un liberale come Monti non si siano stati fatti passi in avanti verso una riduzione del potere politico sull’economia. Stupisce invece il movimento in direzione inversa: grazie all’attivismo della Cassa depositi e prestiti (Cdp), il potere economico dello Stato sta aumentando. Ma fa veramente male che ad aiutare questo processo di nazionalizzazione ora sia la Banca d’Italia, se è vera la notizia del conferimento al Fondo strategico (emanazione della Cdp) di un pacchetto pari al 4.5% di Assicurazioni Generali. L’alienazione a terzi di questa quota entro il 31 dicembre si era resa pressoché necessaria dopo che il governo aveva trasferito a Bankitalia la supervisione delle società assicurative una volta in mano all’Isvap. Il rischio era che, per massimizzare il valore della sua partecipazione, la Banca centrale penalizzasse eccessivamente i competitori del Leone con interventi regolatori. Tra i tanti conflitti di interesse presenti in Italia, non sembra certo il peggiore. È comunque encomiabile che Bankitalia abbia deciso di risolverlo preventivamente. Ma c’erano molti modi per raggiugere questo obiettivo. Il più semplice e lineare era la vendita dell’intero pacchetto. Ai prezzi attuali il 4,5% di Generali vale "solo" 900 milioni di euro. Un pacchetto troppo grosso per essere alienato in Borsa in un sol giorno, ma facilmente vendibile su un arco temporale breve con l’aiuto di una investment bank. Coi tempi magri che corrono, tutte le banche di investimento si sarebbero scannate per offrire questo servigio a prezzi molto competitivi. Se Bankitalia aveva a cuore la stabilità dell’assetto proprietario di Generali (ma rientra questo tra i suoi compiti istituzionali?) poteva richiedere che le azioni venissero collocate presso investitori istituzionali, come Fidelity e Blackrock. O poteva entrare in un "total return swap" con una controparte. Così facendo Bankitalia avrebbe mantenuto la proprietà dei titoli alienandone a terzi i benefici patrimoniali e quindi eliminando il conflitto di interesse. Bankitalia invece sembrerebbe aver preferito conferire la sua quota di Generali al Fondo strategico italiano (Fsi) di Cdp. Questa soluzione non convince. Attraverso il conferimento della sua quota, Bankitalia diventa azionista dell’Fsi, che deterrà il 4,5% di Generali. Il conflitto di interesse, quindi, è diluito, ma non risolto. Perché dunque scegliere questa operazione convoluta, quando una più semplice ed efficace era disponibile? È chiaro l’interesse di Cdp. Il Fondo strategico ha come scopo «un attivo coinvolgimento nella governance delle aziende partecipate, volto ad assicurare il proseguimento delle finalità dell’intervento». Tradotto in linguaggio comune l’Fsi assicura al mondo della politica (che insieme con le Fondazioni bancarie ne nomina i vertici) un ampio potere di controllo e di ricatto sulle imprese partecipate. E quale impresa è più importante di Generali, «la mucca dalle cento mammelle», come la definisce nel suo recente libro Cesare Geronzi, ex presidente della compagnia di Trieste? I 400 miliardi di attività finanziarie (per lo più degli assicurati) gestite da Generali fanno gola a tutti. Allo Stato, che vuole garantirsi che una ampia fetta finisca a sostenere i nostri titoli di Stato, alle imprese di private equity, desiderose di guadagnarsi le commissioni di gestione, e ai politici, ansiosi di influenzare gli investimenti a fini politici. Proprio Geronzi nel suo libro accusa Tremonti di aver complottato contro di lui «per poter disporre di un po’ delle risorse della compagnia» per finanziare un piano di housing sociale. Se un ministro del Tesoro poteva fare quello che Geronzi sostiene Tremonti avrebbe fatto anche senza controllare un 4,5% della compagnia, immaginatevi che cosa potrà fare un futuro ministro del Tesoro disponendo di quella quota che gli permette di nominare un sindaco e tre consiglieri di amministrazione! Ma se l’interesse del Tesoro e di Cdp è chiaro, quello di Bankitalia meno. Dopo le pesanti intrusioni sul mercato dell’era Fazio, ci eravamo abituati ad una Bankitalia che si limitava a fare da guardiana del mercato invece che da "market maker". Forse che, anche in questo campo, stiamo tornando indietro? Per formazione economica, culturale, e politica, il Governatore Visco è agli antipodi del suo predecessore Fazio. Ma allora perché lo vuole imitare?