Guido Olimpio, Corriere della Sera 10/12/2012, 10 dicembre 2012
MA GERONIMO ERA COME OSAMA BIN LADEN? —
Il titolo non poteva non accendere la battaglia. «Geronimo, un Bin Laden dei suoi tempi?». E i lettori di Daily Beast, giustamente, non hanno gradito l’accostamento del guerriero indiano al terrorista. Tutta «colpa» di una nuova biografia sul famoso Apache scritta da Robert Utley, un’autorità della frontiera. L’autore non denigra affatto Geronimo ma cerca di porlo in una luce diversa. Per Utley, Geronimo non ha mai raggiunto la statura di altri eroi. Come Cochise o Toro Seduto. Infatti lo definisce una figura controversa. Coraggioso, duro, bugiardo, un uomo di famiglia, abile nella tattica mordi e fuggi ma anche un commerciante di se stesso, quando deportato prima in Florida e poi Oklahoma perde molta della sua dignità.
Nell’analizzare il libro, il Daily Beast riporta Geronimo ai nostri giorni e lo colloca, brevemente, in un teatro diverso, quello afghano. Quando i Navy Seals eliminano Bin Laden lanciano il messaggio: «Geronimo kia». Frase in codice che vuole dire «Osama ucciso in azione». I parenti del capo protesteranno e l’operazione cambierà nome ma intanto la freccia è stata scoccata. La caccia a Bin Laden, per molti aspetti, ha ricordato quella a Geronimo. Due regioni vastissime. Il quadrante Afghanistan/Pakistan per il primo, Arizona/Messico/New Mexico per il secondo. Tanti anche gli interpreti. Sulle tracce dell’Apache si lanciano i soldati, gli scout indiani e i messicani. Vengono ingaggiati due personaggi, John Johnson e James Kirker, che alla testa di brutti ceffi si scatenano nello sterminio degli Apache. Scalpano, violentano, rendono gli indiani schiavi. In cambio ricevono metà del bottino, ricompense in denaro. Mercenari. Contractors, i «privati» pronti a tutto. Anche allora c’erano gli effetti collaterali.
Geronimo non sta a guardare. Nato nel 1829, a 17 anni è già un guerriero. E’ capace di efferatezze inaudite e di imprevedibili gesti di clemenza. Dirà: «Non so quanto persone ho ucciso. Non li ho contati. Alcuni meritavano di esserlo». La sua crudeltà è selettiva: non stupra, non porta via i capelli alle vittime, però le mutila o le brucia. Può dimenticare che gli hanno massacrato la madre, due mogli e quattro figli piccoli? Fa la guerra agli americani ma il suo bersaglio preferito sono i messicani. Come gli insorti moderni, Geronimo appare e scompare. Non guida un esercito, si accontenta di poche decine di uomini, in grado di vivere con il nulla. Entra e esce dalle riserve dove Washington, nel 1877, ha deciso di confinare gli Apache, si abitua agli imbrogli dei bianchi e partecipa anche lui a qualche intrigo. Per quasi un decennio è un nemico inafferrabile. La Sierra Madre messicana, il Sud dell’Arizona sono un labirinto dove solo Geronimo conosce ingressi e uscite. Nella biografia, Utley afferma che la spinta a combattere non è tanto il legame con quella terra quanto la difesa di uno stile di vita. Eppure quando si cammina tra piccole valli e alture vicino allo Skeleton Canyon, dove Geronimo si è arreso ai soldati nel settembre 1886, è facile comprendere perché quel popolo guerriero ha lottato sino all’ultimo. Un cielo infinito, un silenzio che ti è amico, il verde delle piante, il rosso dei monti. E un’ultima cosa: Osama è lontano. Molto lontano.
Guido Olimpio