Federico Fubini, Corriere della Sera 10/12/2012, 10 dicembre 2012
RISCHIO CAMPAGNA ELETTORALE SULLE ASTE DEI TITOLI DI STATO —
Sembra una vita fa, ma è successo solo il 26 ottobre 2011. E resta una lezione a cui molti, anche fuori dall’Italia, stanno ripensando in queste ore. Accadde tutto allo stesso «Euro Summit» poi passato alla storia per i sorrisetti di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy sul conto di Silvio Berlusconi. Nel corso di quel vertice di Bruxelles successe anche qualcos’altro, una novità che nel 2012 avrebbe inciso sulla carne viva degli italiani ben più degli ammiccamenti della cancelliera o del presidente francese.
A quel vertice si chiede all’Italia di anticipare al 2013 il pareggio del bilancio e portarlo in surplus nel 2014, benché si tratti di una correzione da oltre 60 miliardi di euro. Uno sforzo colossale, che nel 2012 avrebbe contribuito a distruggere decine di migliaia di posti di lavoro. Berlusconi acconsente. Ma la parte di questa storia che allora rimane coperta, e oggi è scolpita nella memoria agli habitué francesi dei vertici, è quanto accaduto poco prima. A un G7, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti minaccia di portare l’Italia fuori dall’euro. «Poi vediamo chi sta peggio», avverte. Il suo pari grado americano Tim Geithner e Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario, ascoltano senza fiatare questa sfida basata sul principio di mutua distruzione atomica. Poi alla prima occasione all’Italia saranno chiesti appunto più tagli, più tasse, più sacrifici: è l’agenda europea che Mario Monti si è trovato già firmata sul tavolo quando è entrato a Palazzo Chigi.
La lezione rilevante adesso, a crisi di governo di fatto aperta, è che i sacrifici sono sempre in quantità inversa alla fiducia riposta in un Paese. È la logica politica che a volte schiaccia quella economica: più un Paese del Sud Europa è considerato affidabile, meno Angela Merkel verrà criticata in Germania se gli lascia un po’ di respiro. Ma meno un governo è credibile, più sacrifici Merkel pretenderà da esso, per non essere poi criticata sulla stampa tedesca oppure al Bundestag.
La storia dell’ultimo anno e mezzo sul triangolo Italia-Francia-Germania diventa così il convitato di pietra della campagna elettorale ormai aperta. Non che tutto stesse andando nel peggiore dei modi, fin qui. Blackrock, il mega fondo americano da 3.600 miliardi di dollari, a fine ottobre presentava un’esposizione sui titoli di Stato in euro a tre-cinque anni al 95% in Btp italiani. Anche Pimco, altro fondo colossale da 1.900 miliardi di dollari, era tornato sui bond del Tesoro di Roma. E in molti “hedge fund” di New York, le posizioni ribassiste sulla Francia fino a venerdì scorso erano cinque volta quelle sull’Italia.
Salvo nuovi choc, lo spread non dovrebbe tornare tanto presto agli estremi di novembre 2011 o luglio 2012. Ma il calendario della campagna elettorale si incrocia pericolosamente con quello di alcuni dei mesi più difficili per il rifinanziamento del Tesoro. Da stamattina a fine febbraio il Tesoro deve rimborsare, piazzando nuovi titoli agli investitori, 52 miliardi di Btp e Ctz e 89 miliardi di Bot a breve scadenza. E alcuni nelle banche o negli «hedge fund» hanno già una preoccupazione: una partita elettorale in cui i principali partiti su entrambe le sponde gareggiano a smarcarsi dagli impegni europei e dall’austerità — materie tossiche per chi è in cerca di voti — non può giovare alle aste di Btp e Ctz. Mentre i partiti urlano slogan alla cieca, ogni collocamento di titoli del Tesoro rischia di diventare un’operazione delicata.
Per non parlare del dopo, ciò che aspetta il prossimo governo. Quello attuale è stato colto di sorpresa dalla recessione: nel 2012 dapprima aveva immaginato una caduta del Pil dello 0,4%, poi in realtà è stata del 2,3%; e per il prossimo anno vede un calo di appena lo 0,2%, quando l’Ocse dice già che sarà dell’1%. Non sono tanto i dettagli numerici che contano: incide piuttosto il rischio che qualcuno in Europa, dopo il voto, decida di chiedere al nuovo governo un’altra manovra per evitare che il debito continui a salire verso quota 130% del Pil a causa della recessione. In alternativa, altri potrebbero proporre al governo aiuti europei in cambio di un memorandum di impegni che imbrigli le scelte dell’Italia. È in casi del genere che vale la legge subita da Berlusconi al vertice di Bruxelles di un anno fa. La spiega con chiarezza Jeffry Frieden, un economista di Harvard, alla World Policy Conference di ieri a Cannes: «Più un Paese perde credibilità, più duri sono i sacrifici che gli vengono chiesti e più questi sacrifici provocano recessione», dice. Secondo Frieden l’Italia avrebbe bisogno di un po’ più di ossigeno, per muovere con meno violenza verso il taglio del deficit e del debito. Ma è proprio lo stato caotico della sua politica che rischia di innescare una catena di eventi nel senso opposto. «E’ quando nessuno si fida più di te — riassume — che finisci per dover strizzare la tua economia oltre ogni logica».
Federico Fubini