Dino Martirano, Corriere della Sera 10/12/2012, 10 dicembre 2012
«IN SICILIA E LOMBARDIA PD COSTRETTO AD ALLEARSI» —
Ora che le elezioni sono più vicine — e il voto con il «Porcellum» è una quasi matematica certezza — la coalizione che è in testa ai sondaggi (Pd-Sel) si misura concretamente con i 17 premi regionali previsti dalla legge Calderoli per il Senato: sarà infatti l’esito dello scrutinio di Lombardia, Veneto e in Sicilia a fare la differenza al fine di determinare una maggioranza autonoma dell’alleanza Bersani-Vendola anche a Palazzo Madama. Secondo i calcoli di Roberto D’Alimonte — il professore di Scienza della politica che propone le sue analisi sul «Sole 24 ore» — lo scenario che si apre prevede una quasi certezza per il voto della Camera (Pd-Sel vincono e conquistano il 54% dei seggi) e due incognite per quello del Senato. A Palazzo Madama, la lista (o le liste) dei progressisti sarà maggioranza in aula a due condizioni: vincere in tutte le Regioni, ovviamente, oppure perdere bene in Lombardia e in Veneto. «Perdere bene — spiega D’Alimonte — significa arrivare secondi da soli senza che nessun altro partito e/o coalizione superi lo sbarramento dell’8%».
In questo caso — in Lombardia e in Veneto vince il blocco Pdl-Lega, mentre quello Pd-Sel arriva secondo e tutti gli altri restano sotto lo sbarramento dell’8% — Bersani e Vendola avrebbero lo stesso la maggioranza al Senato con 169 seggi. E se la sconfitta al Senato si estende anche alla Sicilia, la maggioranza dei progressisti scende a quota 165, sempre sopra la soglia dell’autosufficienza.
Tutto cambia, invece, se — come è prevedibile — nelle tre Regioni-chiave (Lombardia, Veneto e Sicilia) la coalizione Pd-Sel perde e deve dividere il «premio di consolazione» con il Movimento 5 Stelle e con il Polo di Centro. In quel caso, i calcoli di D’Alimonte dicono che Bersani e Vendola non avrebbero più la maggioranza in Senato: 155 seggi (3 sotto la soglia di sopravvivenza) e addirittura 146 se le cose si mettono male anche in Sicilia.
Ecco allora che le simulazioni con i meccanismi previsti dal «Porcellum» fanno porre una domanda allo stesso D’Alimonte: «Quando le coalizioni erano due abbiamo avuto scenari differenti: nel 2006, una maggioranza molto risicata di Prodi al Senato mentre nel 2008 la vittoria di Berlusconi ha determinato un margine di vantaggio molto più consistente per Pdl e Lega a Palazzo Madama. Bene, cosa succede ora che il "Porcellum" è sempre lo stesso ma le coalizioni potrebbero essere 3 o addirittura 4?».
La partita è troppo importante per non tentare anche qualcosa di inedito. Come avvenne nel ’94, quando con il «Mattarellum» Berlusconi si alleò con Bossi al Nord e con Fini nel resto d’Italia, oggi il polo Bersani-Vendola e quello rappresentato da Casini potrebbero marciare separati a livello nazionale ma escogitare alleanze regionali mirate. Il fine sarebbe quello di non rischiare brutte sorprese in quelle che D’Alimonte chiama le «battlegrounds regions», mutando un termine usato per le campagne elettorali negli Usa. «Dunque — argomenta infine il professore — la domanda è la seguente: tra le maglie del "Porcellum" c’è spazio per queste alleanze variabili da Regione a Regione? Per il premio nazionale della Camera certamente no, ma per i 17 del Senato la legge non vieta esplicitamente le alleanze limitate ad alcune regioni. Di sicuro, su questo punto il "Porcellum" è ambiguo e lascia spazio a diverse interpretazioni». Resta da vedere, però, se la soluzione tecnica di alleanze a geografia variabile su base territoriale porta con sé anche quella politica. Che in ogni caso deve colmare le distanze, considerevoli, tra Vendola e Casini.
Dino Martirano