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 2012  dicembre 08 Sabato calendario

LA SCIENZA SI IMPARA DA PICCOLI PRENDENDO A CALCI UN SUPER TELE

Trottole magnetiche che girano sospese in aria, immagini moltiplicate da un gioco di specchi, lenti puntate verso l’infinitamente grande o l’infinitamente piccolo. Ma anche fionde tese fino a un istante prima della rottura, soldatini strategici e piste dove macchinine telecomandate traggono la propria forza dalle stesse canaline che le guidano. C’è tutto un mondo di scienza nascosto tra le pieghe di semplici giocattoli che subiscono o esaltano la fisica, la chimica, la meccanica: un universo che pone domande, più che dare risposte, domande capaci di germogliare a lungo.

Da questa matassa prendiamo per esempio il Super Tele, il leggerissimo pallone che ha alimentato le partite di generazioni di bambini (e non), il cui talento era fatto svanire da traiettorie incoerenti, impreviste, incontrollabili. A spiegare il perché di quest’anarchia calcistica è Davide Coero Borga, che nel suo «La scienza dal giocattolaio» (Codice, pp. 224, euro 24,90) è andato a mettere il naso dentro ai giochi dei piccoli, per tirarne fuori i principi scientifici nascosti.

«Il Super Tele – spiega - è un oggetto impossibile: troppo leggero, troppo poco denso e troppo sferico per poter essere comandato. Tutta un’altra cosa rispetto all’icosaedro, quello che otteniamo cucendo pentagoni e esagoni di cuoio. La palla è un corpo tozzo, poco aerodinamico, s’incastra nell’aria più che penetrarla».

È in questa direzione che si costruisce un cammino che propone un viaggio attraverso trentuno giocattoli famosi, raccontati grazie a schede e aneddoti che ne riconoscono le qualità scientifiche. Così, lungo il percorso, spunta un po’ di tutto: tanta fisica, anzitutto, da quella che fa vincere all’hula hoop la forza di gravità ai giri della morte delle Hot Wheels, fino al misterioso galleggiamento del frisbee.

Ma anche la chimica dell’odorosissimo Crystal Ball, l’ingegneria essenziale del Meccano, la geografia del mappamondo. «Quello che ne risulta – spiega Coero Borga – è che il gioco ha potenzialità narrative enormi, che con i bambini hanno un effetto eccezionale. Scoprono la complessità, la presenza di forze invisibili e la causalità. E l’evoluzione tecnologica fa avvicinare un bambino a un tablet con lo stesso senso di meraviglia che si può provare per il kit del Piccolo chimico, che non ha niente da invidiare alla valigetta del mago».

La chiave di volta sta proprio nella meraviglia, in quello stupore che nasce negli occhi del bambino e mette radici profonde, influenzando magari il futuro di chi sceglie di non accontentarsi dei confini. È qui che trova spazio il piccolo Albert Einstein, che nelle sue memorie racconta di quando per la prima volta il padre gli mostrò una bussola che si comportava in un modo incomprensibile e gli fece capire che «dietro alle cose doveva esserci un che di profondamente nascosto». La scienza si fa gioco e viceversa, con la curiosità che diventa l’elemento essenziale di ogni nuova scoperta.

«È la stessa cosa che accade - continua l’autore - con la ricerca scientifica pura: è un gioco che è privo di obiettivi prestabiliti, che sembra non avere una finalità definita. Un gioco inconcludente, che però rivela le sue potenzialità magari dopo molto tempo, come accade per l’esplorazione spaziale».

Un posto d’onore in questo percorso è quello dei mattoncini di costruzioni, che nelle tante loro declinazioni hanno dedicato uno spazio sempre maggiore alla tecnologia: elementi di base, che combinati fra loro possono aprire spazi nuovi e piegarsi a funzioni diverse.

«È l’esempio dei Lego Mindstorms Nxt, che combinano “pezzi” basilari con la possibilità di programmazione informatica. La modularità – conclude Coero Borga – è quella che chiediamo oggi a ogni tecnologia avanzata. Vogliamo che sia componibile: che ci dia uno strumento di base, che noi possiamo poi adattare alla nostra realtà e alla nostra fantasia».