Eugenio Occorsio, Affari&Finanza, la Repubblica 10/12/2012, 10 dicembre 2012
CINA, IL FANTASMA DELLO SHADOW BANKING SBARRA LA STRADA AL RENMINBI CONVERTIBILE
[Il sistema finanziario parallelo privo di regole è cresciuto a dismisura e potrebbe ammontare alla metà del pil: parte la stretta delle autorità per normalizzare la situazione in vista dell’ inserimento della valuta a pieno titolo nel paniere internazionale] –
Roma I l più pessimista è David Cui, capo per BankAmerica-Merrill Lynch delle strategie per la Cina (è nato a Pechino, ha preso il PhD ad Harvard e vive fra New York e Shanghai): «Se non si arresta la deriva cinese verso un settore finanziario sempre più incontrollato, in presenza del rallentamento strutturale e della crisi immobiliare che si sta vivendo, lo shadow banking prima dilagherà fino a sommergere l’economia ufficiale e poi trascinerà il Paese nell’abisso ». Se la nebulosa creditizia non regolata e spesso neanche classificata con esattezza è un grosso problema in occidente, in Cina potrebbe essere esiziale. Gli elementi di paura, di perplessità, di rapporti difficili per l’isolamento linguistico e culturale che circondano il Paese in generale, sono esasperati nel comparto creditizio “non classificato”, shadow appunto. Che, si è visto, può far male alla Cina stessa ma anche a tutto il mondo. Non a caso sia l’Fmi, che per primo ha lanciato l’allarme, sia il Financial Stability Board di Basilea che ha quantificato poche settimane fa in 67mila miliardi il giro d’affari globale del settore (inducendo la Commissione europea a promettere una direttiva ad hoc), hanno indicato la Cina come l’epicentro della maggior sofferenza. Paradossalmente ciò accade proprio nel momento in cui la seconda economia mondiale (il Giappone è superato da due anni, l’America pare fra 15) sta dando segnali sempre più
netti di volersi inserire a pieno titolo nel circuito finanziario internazionale, e di volerlo fare in fretta. Tanto per cominciare, come ha indicato il Congresso del mese scorso, la Cina vuole rendere il renmimbi una valuta pienamente convertibile entro il 2015. Anche se il guru americano delle commodities Jim Rogers avverte che «tenere depositi in renminbi è una totale follia», le principali banche, quelle ufficiali, emettono obbligazioni in valuta cinese destinate ai mercati internazionali, aprono linee di credito a favore delle aziende straniere che vogliono investire in Cina sempre in divisa locale, compiono una crescente serie di operazione finanziarie, dalle lettere di credito ai prestiti a progetto. Tutto in renminbi. Poche settimane fa è tornata a Roma da Shanghai una delegazione della Sace, l’agenzia pubblica per il finanziamento dell’export, che ha stipulato un accordo con la China merchants bank per mettere a disposizione una copertura di 2 miliardi di renminbi (250 milioni di euro) a favore delle imprese italiane che vogliono crescere in Cina. Tutto questo mal si concilia con il rampante shadow banking system. «Nessun discorso di convertibilità né di crescita del prestigio globale della valuta si può aprire finché la Cina non assicura una totale revisione dei suoi criteri di regolazione finanziaria», conferma l’economista Rainer Masera. Che avanza delle ipotesi sui motivi di questo vorticoso sviluppo: «La Cina è per esempio particolarmente attiva sui mercati delle commodities. E nella sua corsa ad assicurarsi le materie prime necessarie al suo impetuoso sviluppo intraprende azioni a largo raggio, dall’acquisto delle miniere in Africa o Sudamerica fino allo sviluppo dei derivati finanziari appunto in commodities, privi come del resto tutti i derivati del pianeta di un’adeguata regolamentazione». In effetti nello shadow system cinese alcuni strumenti sono analoghi a quelli occidentali, come i fondi d’investimento che promettono interessi dieci o quindici volte superiori a quelli (magrissimi) delle banche ufficiali senza dare alcuna garanzia se non la fiducia (non a caso si chiamano trust fund): il settore gestisce oggi asset, calcola la Kpmg, per 6,3 trilioni di renmimbi, 750 milioni di euro, il 54% in più di dodici mesi fa e cinque volte quelli che erano nel 2009. Merrill Lynch ha contato 62 di questi fondi di cui solo due presentano qualche forma di trasparenza. È un settore fortemente polarizzato: dieci di questi 62 fondi raccolgono metà degli asset, e 20 raggiungono il 72%. Ma altre istituzioni finanziarie “atipiche” sono particolarmente sviluppate in Cina, come i monti dei pegni: ce ne sono oltre 4mila, prestano soldi a breve termine (e con brevissime procedure, da uno a tre giorni) e accettano di tutto in garanzia, dai gioielli ai titoli finanziari fino alle case, collateral sempre più diffuso ora che i prezzi sono in caduta libera (-15% in media a settembre rispetto a un anno prima). Un altro veicolo finanziario sono i guarantors, “garanti”: piccole società (ce ne sono oltre 19mila nel Paese) che avrebbero la funzione appunto di garantire un prestito. Il problema è che di fatto, nella più totale mancanza di supervisioni, queste società finiscono col prendersi una parte del prestito stesso, che utilizzano per prestare a loro volta a un più alto tasso ad una terza figura, e così via in una serie infinita di incontrollabili passaggi. Le stime sul giro d’affari di questa galassia finanziaria “ombra” variano notevolmente a seconda di come la si vuole definire e delimitare. Componendo vari filoni di dati, l’economista Wang Tao della svizzera Ubs ritiene che il settore shadow in Cina ammonti come minimo a 13,6 trilioni di renminbi (poco meno di 2mila miliardi di euro, come il debito pubblico italiano), cifra che secondo lo stesso Tao potrebbe arrivare a 24,4 trilioni, ovvero il 50% del Pil cinese. Un altro economista, Yao Wei dell’ufficio di Hong Kong della Societe Generale, nella sua newsletter stima che i prestiti in renmibni effettuati undergrounde finiti a rischio fallimento sono arrivati a 2 trilioni di renmimbi. È una cifra, da sola, pari a un terzo del mercato ufficiale dei prestiti in Cina, che peraltro sta soffrendo una crisi pericolosa (e non a caso si sviluppa il settore shadow): la stessa China Banking Regulatory Commission ha reso noto che il terzo incremento trimestrale consecutivo ha portato in giugno a 456,4 miliardi di renmimbi i prestiti bancari in sofferenza. Della pericolosità e dell’insostenibilità a livello internazionale di tutto questo sembrano finalmente consapevoli le autorità. Che periodicamente lanciano delle “retate” a cui si accompagna la promessa di un repulisti generale. Con conseguenze anche drammatiche: una donna accusata di aver raccolto illegalmente risparmi, Wu Ying, è stata condannata a morte e ora il suo caso è davanti alla Corte suprema di Pechino. Altre misure sono più costruttive: la città di Wenzhou nella provincia industriale dello Zhejiang (il 90% della produzione è esportato) è stata nominata “zona speciale finanziaria”: a chi presta denaro “informalmente” è stato intimato di registrarsi e dichiarare i suoi investimenti, gli interessi garantiti, i criteri di operatività. Nella speranza che sia l’inizio di un processo di regolazione che interessi l’intero Paese. E magari l’intero pianeta.