Chiara Paolin, il Fatto Quotidiano 9/12/2012, 9 dicembre 2012
L’ERBA DI MILANELLO OGNI ELEZIONE UN TIRO IN PORTA
[Da Nesta a Kakà fino a SuperMario il presidente non va mai nel pallone] –
I brasiliani, quando parlano di calcio, sono persone molto serie. Nel 1994 azzeccarono la sintesi a titoli cubitali: “Il presidente del Milan governerà l’Italia”. Non l’inventore della tivù commerciale, non l’editore o il tycoon. Semplicemente, il presidente di quel Milan sgraffignato a Giussy Farina per pochi spicci nell’inverno 1986 (con in pancia Maldini, Costacurta e Baresi) poi elevato a fenomeno di rilevanza planetaria, prima con Sacchi e gli olandesi, poi con Capello, Zaccheroni fino ai giorni di Ancelotti e Allegri. Bilancio del Berlusconi rossonero: 8 scudetti, 5 Coppe Campioni- Champions League, 6 Supercoppe italiane, 5 Supercoppe europee e una Coppa Italia.
TEMPI DI GLORIA da passare con un piede in tribuna e l’altro in Parlamento. Nel mitico ‘94 Silvio diventò premier e dopo qualche giorno arraffò Coppa Campioni più scudetto. Così i miliardi diventarono noccioline per alimentare il miracolo italiano: si iniziò con Shevchenko, si esagerò con Inzaghi (40 milioni di euro scuciti mentre con l’altra mano si firmava il celebre Contratto con gli italiani da Vespa), si sublimò con Rui Costa, Nesta, Oliveira arrivando all’abbraccio con Kakà del 2006 (in funzione anti Prodi) e al Ronaldinho del 2008 per tentare il rilancio definitivo. Non funzionò a lungo. I conti in campo, come nel Paese, tiravano al brutto. Nel 2010 la rottura con Fini e l’arrivo del feticcio Ibrahimovic. Nel maggio 2011 il rinnovo per Inzaghi e Nesta nei giorni in cui Letizia Moratti perdeva Milano: un segno. A ottobre con Monti ormai alle porte, il ritorno a Milanello dopo un anno d’assenza. Ora sei visite di fila, il sogno Balotelli, la ricerca disperata del clima antico. Ai tempi belli in cui il sabato di Silvio a Milanello era istituzione e affezione. Le pale dell’elicottero che arieggiavano le brume di Carnago erano apparizioni per il popolo rossonero aggrappato alle cancellate. Ma anche per i giornalisti esausti di numerologie da campo e banalità da mister. Il Cav aveva una battuta per tutti, dalla Rai all’ultima radio privata: barzellettiere, allenatore, dietologo, promoter attento al dettaglio. Come un vero padrone.