Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 8/12/2012, 8 dicembre 2012
LA CLASSE MEDIA SCIVOLA ALL’INFERNO
[Il Censis boccia il governo tecnico, una “oligarchia” incapace di rispondere ai bisogni della società milioni di famiglie costrette a vendersi i gioielli] –
Il Rapporto Censis, di cui ieri Giuseppe De Rita ha presentato la 46ma edizione, arricchisce il vocabolario della crisi. Il 2012 impone “l’assoluta centralità del problema della sopravvivenza”, mentre si consuma lo “smottamento del ceto medio”, e si diffonde “la paura di non farcela”. Nel turbine di processi disgreganti, lo stesso Censis sembra perdere stavolta il controllo della sua analisi, incentrata soprattutto sulle contraddizioni.
La prima è lo scollamento tra politica e società: seguono “dinamiche parallele, che non si sono integrate fra loro”. Non c’è solo la rabbia, provata dal 52,3 per cento degli italiani e indirizzata verso un ceto politico intento ad arraffare, che impone a De Rita la citazione di Ezechiele: “Pastori che pascolano se stessi”. C’è di mezzo anche il governo dei tecnici, che non piace al Censis perché le sue strategie, durante l’anno di Mario Monti, “sempre meno trovavano saldatura con le affannose strategie di sopravvivenza dei vari soggetti sociali”.
DE RITA BOCCIA senza appello l’approccio pedagogico di Monti, la sua “enfasi esortativa”, la sua pretesa di insegnare agli italiani come si vive anziché avanzare “una proposta di percorso comune”. Sentenza inappellabile: “Non è scattata la magia dello sviluppo fatto da governo e popolo; ed è rimasto in campo un rigore di governo, spesso solo disciplinare, che non ha lo spessore per diventare ‘Legge’, cioè riferimento forte per generare forza psichica collettiva”. È così che ai “poteri oligarchici” rappresentati dal governo Monti si contrappone un “populismo rancoroso”, in una “reciproca incitazione a cambiare mentalità e comportamenti, con venature anche spregiative (fra politici immorali e bamboccioni schizzinosi)”. Gli individui reagiscono mettendosi psicologicamente in proprio. Agli anni del “progressivo appiattimento” si contrappone una “iniziale propensione dalla differenza”, una “voglia di riposizionamento differenziale”.
Intanto l’Italia cambia, nel bene e soprattutto nel male. Sono 2,5 milioni, una su dieci, le famiglie che si sono vendute l’oro e gli altri preziosi per far fronte alle difficoltà economiche. L’85 per cento dei nuclei ha tagliato i consumi, una su cinque sostiene economicamente i figli adulti senza lavoro. Siamo fermi e più poveri. Dal 1993 al 2011 il reddito pro-capite è sceso dello 0,6 per cento. Mentre i ricchi sono sempre più ricchi il ceto medio “smotta”, perdendo buona parte del suo patrimonio: in vent’anni le famiglie con ricchezza superiore ai 500 mila euro sono passate dal 6 al 12,5 per cento del totale, e la ricchezza nelle loro mani è cresciuta dal 30,7 al 50,6 per cento. Nel frattempo il ceto medio (patrimoni da 50 a 500 mila euro) ha visto la sua ricchezza scendere dal 66,4 al 48,3 per cento del totale. I più poveri, meno di 50 mila euro di patrimonio, sono più poveri: la loro ricchezza si è ridotta dal 2,9 all’1,1 per cento del totale.
Il fronte del lavoro è una Capo-retto. Nell’ultimo anno scompaiono 427 mila posti lavoro a tempo pieno e ne compaiono 362 mila a tempo parziale. Nello stesso tempo aumentano di 702 mila unità (cioè del 35 per cento) i disoccupati in cerca di lavoro, che hanno raggiunto quota 2,75 milioni.
COLPISCE un dato sulla spesa sanitaria: a dispetto della retorica sul welfare di lusso che non potremmo permetterci, gli italiani pagano di tasca propria 28 miliardi di euro all’anno per curarsi, pari al 17,8 per cento della spesa sanitaria. Nella severa Germania questa percentuale è 13,2, nella liberista Gran Bretagna siamo all’8,9. E chi paga di più è proprio chi avrebbe più bisogno: chi ha in casa un malato di Alzheimer spende in media 10.547 euro all’anno, chi ha il cancro paga di tasca sua 6884 euro all’anno per curarsi. È un sistema che non funziona, e quindi se costa troppo è perché troppo si ruba.
Sgomenti e sfiduciati, gli italiani confidano agli analisti del Censis di prevedere l’aumento dei fenomeni peggiori: raccomandazioni, corruzione, evasione fiscale, criminalità economica, voto di scambio. Si buttano su Internet, e l’uso della rete supera nettamente la lettura dei quotidiani), soprattutto tra i giovani: chi ha meno di 29 anni si informa più sui siti web (43 per cento) che sui giornali (33,6 per cento). Ed è sulla rete che ognuno cerca la sua strada solitaria, di differenziazione individuale. Veniamo fotografati così, intenti a costruire i nostri personali palinsesti culturali, politici, esistenziali. Grande è la confusione sotto il cielo del Censis.