Carlo Vulpio, la Lettura (Corriere della Sera) 09/12/2012, 9 dicembre 2012
QUEI BRUTTI BAGAROSPI DEI SIMPSON - «C
iucciami il calzino» non è un complimento. Al contrario, è un’espressione che può voler dire molte cose censurabili. Ma non mette in imbarazzo chi la usa, e nemmeno chi ne è destinatario. Anzi, diverte. Forse non proprio tutti, ma diciamo che diverte la grande maggioranza. Anche perché a volte è usata solo come un modo di dire, a volte è una specie di parola d’ordine tra appassionati della stessa serie televisiva (come gli ideatori e i frequentatori del sito web l’Homerata), a volte è persino un inno, ma innocuo come può esserlo Avanti popolo.
Inventata in sala di doppiaggio per la versione italiana del cartoon I Simpson, «Ciucciami il calzino» è la geniale traduzione del più esplicito e greve «Eat my shorts», «Mangiami le mutande». A questa frase ricorre esclusivamente Bart Simpson, il ragazzino terribile della famiglia Simpson — una sorta di Antonio Cassano d’America, bravo con lo skateboard quanto Cassano lo è con il pallone —, tutte le volte che deve «cioncare» qualcuno, genitori, parenti, adulti, insegnanti, poliziotti, compagni di scuola, insomma il mondo.
I Simpson — papà Homer, mamma Marge e i tre figli Bart, Lisa e Maggie — sono una creazione di due bizzarri cervelli del fumetto e del cinema statunitense, Matt Groening e James L. Brooks, e hanno debuttato in tv il 17 dicembre 1989, in prima serata. Da quel giorno, i Simpson non si sono più fermati e continuano ad andare in onda ancora oggi, tutte le sere, sempre in prima serata e sempre con la stessa produzione, il colosso cinematografico Fox. Certo ventitré anni non sono uno scherzo dal punto di vista della costanza dell’indice di ascolto e infatti negli Stati Uniti, anche per i Simpson, una flessione c’è. Meno 19 per cento rispetto a cinque anni fa. Ma si tratta di un calo da mettere in rapporto a una montagna di nove milioni di telespettatori a puntata.
In Italia, dove la famiglia Simpson arrivò nel 1991, su Canale 5, e in tutti gli altri Paesi in cui il cartoon è stato esportato, le cose continuano ad andare benissimo anche dal punto di vista di questo totem dell’età contemporanea che è lo «share». Da noi, il successo è arrivato anche grazie alla qualità dei dialoghi, che fin dall’esordio sono curati e diretti da Tonino Accolla, uno dei più eclettici doppiatori del cinema italiano. Accolla, oltre ad aver dato la propria voce a Eddie Murphy, Tom Hanks, Mickey Rourke, Hugh Grant, Jim Carrey, Kenneth Branagh e a molti altri grandi attori, ha il merito di aver coniato «Ciucciami il calzino», diventato sinonimo di Bart, e l’imprecazione «Brutto bagarospo», la preferita di Homer, un’altra traduzione molto libera e fulminante di una pressoché insignificante espressione americana. Accolla, che doppia Homer, sostiene che «i dialoghi sono la cosa più importante dei Simpson», e ha ragione. Sono stati infatti i dialoghi, e non solo in Italia, a rendere l’idea di chi siano davvero i Simpson e a decretarne il successo, al punto che in questa classica famiglia media americana si sono riconosciute le famiglie medie di mezzo mondo e il cartoon è diventato un fenomeno planetario, una sorta di patrimonio dell’umanità tra le sitcom a disegni animati.
Il «Time», nel 1999, definì i Simpson «la migliore serie tv del secolo» e Bart addirittura «una delle persone più influenti del XX secolo». Poi, nel 2007 è arrivato anche il film, diretto da David Silverman, uscito in contemporanea in quasi tutto il mondo dopo una operazione di promozione da far invidia a un piano strategico militare. Una delle idee vincenti di quella campagna fu il concorso lanciato tra le 71 città di nome Springfield (così si chiama quella del cartoon) distribuite in 36 diversi Stati americani per sceglierne una sola e accreditarla come la Città dei Simpson. Vinse la Springfield del Vermont, nonostante Matt Groening si fosse ispirato alla omonima cittadina dell’Oregon.
La Springfield dei Simpson convive, tra fatalismo e cinismo, ma anche tra ironia e sarcasmo, con una centrale nucleare che contamina le acque in cui guizzano pesci con tre occhi e il cui supervisore generale è un distratto Homer Simpson. Il proprietario della centrale, lo spietato signor Burns, che passerebbe con un carro armato anche addosso a sua madre, disprezza questa «città di brava gente media americana, che è anche la più obesa, la più stupida e quella che vota di meno» e al tempo stesso la vuole proprio così e ne gode insieme con i suoi concittadini, perché è una città con uno statuto che permette il gioco d’azzardo, i matrimoni gay, la compravendita di minorenni e l’uso della dinamite nella pesca, oltre ad avere nel proprio simbolo il motto «Corruptus in extremis», seguito dalla frase «Un animo nobile titaneggia anche nel più piccolo degli uomini».
In questa città politicamente scorretta come i suoi abitanti, ma a tratti persino saggia e sentimentale, c’è spazio per tutto, anche per la candidatura del perfido Burns a governatore con uno slogan elettorale che è al tempo stesso una promessa e una minaccia: «Due macchine in ogni garage e tre occhi in ogni pesce». Naturalmente, Springfield ingoia e metabolizza tutto, proprio come la pancia di Homer, il quale spesso se la cava con brillantissime battute che non richiedono spiegazioni. Come ad esempio questa: «Non potete far affidamento su di me per tutta la vita. Dovete imparare che c’è un Homer Simpson in tutti noi».
Ed eccoci di nuovo ai dialoghi. Sia nei testi originali (più diretti e a volte anche un po’ volgari), sia in quelli tradotti (spesso, a causa delle proteste di alcuni enti e associazioni, eccessivamente depurati), sono sempre i dialoghi la vera anima dei Simpson. Non solo per ciò che viene detto, ma anche per come viene detto, vale a dire per le voci che caratterizzano ogni personaggio. Bart, per esempio, ha la voce di una donna, sia negli Stati Uniti sia in Italia. Fino all’ultima edizione dei Simpson la voce italiana di Bart era quella di Ilaria Stagni, alla quale, pur avendo doppiato Charlize Theron, Scarlett Johansson, Mira Sorvino, Winona Ryder, Jennifer Lopez, viene chiesto ancora adesso di firmare autografi come Bart Simpson. Da quest’anno invece Bart parla con la voce della giovane Gaia Bolognesi, che ha già una grande esperienza nel cinema di animazione. Anche per Marge, la moglie di Homer, c’è stato un avvicendamento: la storica voce di Liù Bosisio è stata sostituita da quella di Sonia Scotti (doppiatrice di Woopy Goldberg). Mentre la sorella di Bart, la intelligente e intellettuale Lisa, vegetariana e musicista, continua a essere doppiata da Monica Ward (voce di Gwyneth Paltrow, Zhang Ziyi, Nastasia Kinskj, Kirsten Dunst).
Insomma, professionisti — oltre a doppiatori occasionali come Sandra Mondaini e Mike Bongiorno, Leo Gullotta e Vittorio Sgarbi, Francesco Totti e Valeria Marini — adatti a un cartoon per adulti, che però ha un pubblico dai sette ai novant’anni. Un cartoon in cui il padre può dire al figlio: «Be’, Bart, abbiamo imparato che la guerra non è una risposta». E questi gli può replicare: «Tranne che per i problemi dell’America!». Un cartoon che fin dalle origini è andato in onda con episodi — ancora inediti in Italia — i cui titoli sono tutto un programma: per esempio, Gara di rutti, Le boccacce, oppure Il ciuccio, in cui il solito Bart, rivolgendosi alla sorella più piccola, Maggie, che non impara mai a camminare e a parlare e non fa altro che succhiare il ciuccio, le dice: «Sei una piccola bambina depravata».
I Simpson hanno battuto anche i Flinstones e Scooby Doo per longevità televisiva e fino a oggi hanno vinto qualcosa come 81 premi tv. Come direbbe Bart: «Il segreto del successo è la sincerità. Se impari a fingere è fatta».
Carlo Vulpio