Cristina Raffa, la Lettura (Corriere della Sera) 09/12/2012, 9 dicembre 2012
LA NUOVA VITA DELLA CARTA
Nei Walt Disney and Pixar Animation Studios, in California, dove si va a lavorare in scarpe da ginnastica e si gioca a minigolf in sala riunioni, sono impiegati fino a quindici disegnatori per ogni produzione. Più avanza la tecnologia che rende verosimili le animazioni in pixel, più c’è bisogno di precisi schizzi a matita. I 27.555 disegni per A Bug’s Life sono raddoppiati per Alla ricerca di Nemo, triplicati per Ratatouille, quintuplicati per Ribelle. Quel che fanno dietro le quinte gli animatori lo vediamo ogni volta che viene allestita una mostra che ne celebra la magica attività; è stato così proprio per la retrospettiva sulla Pixar che ha girato il mondo passando anche per l’Italia, o per quella dedicata dal Moma a Tim Burton nel 2009. Ancora oggi, con gli storyboard, lavorano quasi tutti i registi, come ha ben documentato lo scorso anno il Museo del Film e della Televisione di Berlino.
È la carta il trait d’union tra ieri e domani: ieri c’era un mondo che «sulla pasta di carta ha fondato le sue rivoluzioni», come ha scritto il critico americano Clement Greenberg nella sua lettura dell’arte del XX secolo. E domani, forse, anche. La carta è ancora il materiale che consumiamo maggiormente, persino più del cibo. Non è pronta per entrare in un museo, come proponeva provocatoriamente qualche giorno fa Ian Sansom sul quotidiano inglese «The Guardian» (che continua a smentire le voci che ne danno per spacciata la versione cartacea a causa di perdite per 100 mila sterline al giorno), semplicemente perché non è ancora un pezzo da museo. Il processo creativo di chi produce per l’industria culturale e dello spettacolo — anche se il fine è un’interfaccia multimediale — passa ancora da lì. Si pensano su carta le applicazioni per smartphone, che siano giochi o servizi, partendo da strutture che sono trasferite più volte dalla mente al block notes. Spiega Pietro Saccomani, cofondatore di Fifty Pixel, start-up italiana a Londra fornitrice per Groupon e Apple: «Vivendo immersi nella tecnologia abbiamo provato soluzioni completamente digitali — un’ottima app per iPad si chiama proprio Paper — che offrono il vantaggio di rimediare facilmente a un errore o di ripercorrere a ritroso velocemente i progetti, ma nulla ha la flessibilità, la leggerezza e l’immediatezza della carta. Quando programmiamo per mobile o per un sito Internet disegniamo l’interfaccia con un pennarello, così non ci facciamo distrarre dalla tecnologia e ne discutiamo più agevolmente col gruppo di lavoro».
È nato così anche Arduino, l’hardware open source italiano per lo sviluppo di oggetti interattivi che ha cambiato la vita ai «makers» (gli artigiani del digitale) di tutto il mondo. Racconta il suo inventore Massimo Banzi: «Continuo a disegnare architetture e appunti su grandi fogli, anche se i giornali e i libri li leggo ormai solo sul tablet». Che la via stia dunque nella convivenza, magari nella cooperazione, tra i mezzi, senza che l’uno debba necessariamente uccidere l’altro? Per mostrare ai fan come prendono forma i suoi spropositati look, Lady Gaga pubblica su Instagram i bozzetti fatti a mano per lei dai grandi stilisti (basta digitare «Gagapedia sketches» su Google). Giorgio Armani, che ha disegnato gli abiti più d’avanguardia per l’ultimo tour della popstar italoamericana, dichiara: «La tecnologia è un acceleratore utilissimo, ma un modellista lavora manualmente: la mano è molto diversa da un tasto, con matita e foglio io tengo fede alla mia origine di designer puro».
Generati da un fumetto analogico sono anche gli uccellini che hanno rivoluzionato la storia dei giochi digitali, gli Angry Birds della finlandese Rovio (lo scorso 8 novembre la versione Star Wars ha segnato un record di downloads sull’AppStore a sole 2 ore dal lancio): «È cominciato tutto quando uno dei designer ci mostrò lo schizzo su carta di un uccellino infuriato perché un maiale verde, probabilmente ammalato di influenza aviaria di cui si parlava in quel periodo, gli aveva rubato le uova», spiega Ville Heijari, vicedirettore della divisione Media Franchise. E cosa ha portato gli sviluppatori Nintendo a continuare la saga di Paper Mario (versione «di carta» dell’idraulico più amato del pianeta) con il nuovo gioco Sticker Star per la consolle 3DS? La «paperisation» dell’icona Super Mario e del suo mondo, col merchandising, ovviamente di carta, che continua ad appassionare i ragazzi.
Alla carta ha reso omaggio la scorsa estate il genio dell’architettura Frank O. Gehry con il grandioso allestimento di un Don Giovanni di Mozart a Los Angeles, fatto completamente di scartoffie. Lui, padre della «paper architecture», dice: «Non posso pensare a un processo creativo senza carta», e continua a insegnarlo ai giovani del suo studio. E se «The Daily», il primo quotidiano solo per iPad pubblicato da Rupert Murdoch, chiude dopo neanche due anni di attività, lontano dagli Usa e dall’Europa i giornali «di carta» stanno vivendo oggi la loro stagione d’oro: in India, Cina, Brasile, Sudafrica avanza una classe media desiderosa di notizie da sfogliare, magari mentre si sorseggia un caffè al bar.
Il nostro rapporto col materiale che più apre le porte alla mente è un bisogno pratico. Non c’è da stupirsi se il foglietto più pop della storia, il Post-it, regga sul mercato nonostante l’aspra concorrenza: oltre 4 miliardi di dollari di fatturato nel 2011, con un segno sempre positivo rispetto agli anni precedenti.
Un caso emblematico per capire quanto sia cieco ipotizzare un’apocalisse del mezzo cartaceo è stato raccontato dal «Wall Street Journal» che ha preso in esame l’iter produttivo di Paperless Post, una delle start-up di maggior successo a New York negli ultimi tre anni, fondata da due ventenni di Harvard. L’azienda, oggi 50 impiegati e 10 milioni di dollari di fatturato, produce dal 2009 biglietti di auguri digitali. Dal mese scorso la svolta: «Abbiamo iniziato a produrre cartoline di carta perché il 50% dei nostri clienti ce le chiedeva, disposti a pagarle 10 volte di più: 2 dollari per cartoline reali, 20 centesimi per quelle virtuali», spiega il fondatore James Hirschfeld, 26 anni, che prevede un futuro ancora ibrido. «Benché avessimo un’impresa che puntava tutto sul digitale — continua —, ci troviamo a invertire parzialmente la rotta. I consumatori ci hanno messo 15 anni per abituarsi all’e-commerce, ora vogliono soluzioni buone sia online che offline. Su questo stanno ora puntando anche grandi portali come Warby Parker, Bonobos, Piperlime».
Se dunque la fruizione prende l’inevitabile (seppure altalenante) strada della smaterializzazione, il processo creativo segue sempre le stesse puntuali logiche (analogiche): una palletta di carta che fa canestro nel cestino, fino al lampo di genio che ci avvicina al futuro.
Cristiana Raffa