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 2012  dicembre 09 Domenica calendario

Nell´immaginario del riscaldamento globale e dell´effetto serra, è così che ci raffiguriamo l´incubo del lento e inesorabile innalzamento del livello dei mari

Nell´immaginario del riscaldamento globale e dell´effetto serra, è così che ci raffiguriamo l´incubo del lento e inesorabile innalzamento del livello dei mari. Una catastrofe al rallentatore, dove le onde, centimetro dopo centimetro, metro dopo metro, salgono sempre più in su e più in là, mangiandosi ogni anno un altro pezzo di costa. In Maryland hanno fatto i conti e hanno visto che, ogni anno, 240 ettari di costa spariscono sotto il mare. A Miami, le giornate in cui le auto sguazzano nell´acqua e la salsedine corrode i cerchioni sono sempre più frequenti. Ma vale per tutti. Nell´ultimo secolo, il maggior calore ha provocato un effetto-espansione delle molecole e il livello del mare è salito, in media, nel mondo, di trenta centimetri. A metà secolo, prevedono gli scienziati, sarà salito di altri sessanta. È allarme rosso. Globale. Il 90 per cento delle aree urbane del mondo è sulle coste e ci vivono un miliardo di persone. Di queste, dalle 50 ai 150 milioni fronteggiano un pericolo immediato, da San Francisco a Lagos, a Dacca, nel Bangladesh. Con il mare più alto di mezzo metro, un quarto del Sud Florida sarebbe percorribile solo in canoa e in motoscafo. A New York, duecentomila persone vivono non più di un metro sopra il livello dell´alta marea. In tutti gli Stati Uniti, sono sei milioni. Ma i sessanta centimetri sono solo l´inizio. Un metro a fine secolo e, poi, sempre più in su, dicono le previsioni. In realtà, gli scienziati sanno bene che sono solo scommesse, probabilmente al ribasso. Tutto dipende da quanto ghiaccio si scioglierà in Groenlandia, sulle coste occidentali dell´Artico e, soprattutto, in Antartide. Un processo nient´affatto lento e graduale. Oltre una certa soglia di temperatura, lo scioglimento diventa rapido e accelerato. Con quale risultato? Circa 125mila anni fa, prima dell´ultima era glaciale, dicono i paleoclimatologi, il clima era appena più caldo di quello di oggi, ma certo più fresco di come sarà tra qualche decennio: il livello dei mari era 8-10 metri sopra quello di oggi. Fine dei giochi. L´idea che l´innalzamento dei mari sia un processo inesorabile, ma lento è, in realtà, una storiella consolatoria. Perché l´avanzare dell´oceano non è affatto, in molti angoli del globo, una catastrofe al rallentatore. È, invece, il succedersi di immani disastri ripetuti, sempre più frequenti, più violenti, più crudeli. Chi aveva dimenticato Katrina e New Orleans, ha potuto rivederlo, in diretta, quando l´uragano Sandy si è abbattuto su New York. Il mare è ancora 60 centimetri sotto il suo possibile livello del 2050, ma l´onda di Sandy, che sommava l´alta marea e la spinta della tempesta era quattro metri e mezzo sopra il livello normale delle acque. E, prevedono ora i climatologi, grazie all´effetto serra e all´innalzamento dei mari, un uragano come Sandy potrebbe abbattersi nuovamente su New York ogni quindici anni. Assai prima di essere lentamente annegate dal salire della placida risacca, le città saranno spazzate via dalla furia delle inondazioni e dei cicloni. La reazione più immediata è la ritirata. Il dibattito cruciale, oggi, a New York, non è come ricostruire, ma se ricostruire le zone inondate. Ma c´è anche chi pensa che dal mare, almeno qui e ora, ci si possa difendere: molte città hanno eretto barriere contro la furia degli oceani. Ci sono interventi relativamente semplici, come a Mumbai, dove il letto dei quattro fiumi dell´area è stato ampliato, per evitare che straripino, se dal mare arriva un´onda più alta. E ci sono giganteschi monumenti storici, come il sistema di dighe che protegge (a un costo annuo fra 1,5 e quattro miliardi di dollari, solo per la manutenzione) un paese come l´Olanda, per due terzi sotto il livello del mare. Anche Londra è protetta dalle chiuse installate sul Tamigi: da quando sono state costruite - a metà degli anni Ottanta - sono già state azionate cento volte con successo. E, tecnologicamente, l´idea più ingegnosa è quella italiana del Mose, che proteggerà Venezia dall´acqua alta (e da una furia del mare assai limitata), grazie a chiuse mobili, fatte salire riempiendo d´aria dei palloni alla base. Anche a New York stanno pensando a una serie di chiuse che attraversi il mare, dal New Jersey a Long Island. Il costo (16 miliardi di dollari) non è probabilmente molto più alto di quanto sia costata Sandy alla sola New York. Ma il problema di chiuse, dighe e barriere è che sono strutture rigide, che è difficile adeguare a un oceano che continua a salire. A Londra hanno già deciso di aumentare l´altezza delle chiuse di quaranta centimetri. A Rotterdam di sessanta. Ma è una rincorsa. Esiste, allora, un´alternativa alla ritirata o alla difesa tutta d´un pezzo, chiusa o diga? Per ora, no, ma idee intriganti ce ne sono. La prima è una mezza ritirata: accettare che il mare entri. La parte bassa di Manhattan trasformata in una piccola Venezia, con le vie trasformate in canali e la Borsa di Wall Street da raggiungere in gondola. La seconda è un ritorno alla natura. Il piano ideato da uno studio di architetti newyorchesi contempla un rifacimento della pavimentazione delle strade di Lower Manhattan che acceleri il ritorno delle acque in eccesso nel mare, ma il succo è altrove: una cintura di paludi, acquitrini, piante acquatiche che ammortizzi, assorba, inghiotta l´energia e l´acqua dell´onda di tempesta. La terza potrebbe essere complementare: una serie di scogliere artificiali su cui impiantare colonie di ostriche, che hanno anch´esse l´effetto di trattenere l´acqua. «Fantascienza», hanno definito queste idee i sostenitori delle chiuse. Però, in attesa della catastrofe, è simpatica l´idea di uscire di casa, la domenica, a Fulton Street, con il gommone, per un picnic di ostriche nella laguna salata.