Sergio Romano, Corriere della Sera 9/12/2012, 9 dicembre 2012
Caro Romano, vuole raccontarci la favola delle api di cui ha fatto cenno nella risposta alla lettera sugli «sbornia bond»? Maria Masini Firenze Cara Signora, Bisognerà anzitutto presentare l’autore
Caro Romano, vuole raccontarci la favola delle api di cui ha fatto cenno nella risposta alla lettera sugli «sbornia bond»? Maria Masini Firenze Cara Signora, Bisognerà anzitutto presentare l’autore. Bernard Mandeville nacque nel 1670 a Dordrecht, in Olanda, cittadino di un piccolo Paese che stava diventando in quegli anni una grande potenza mercantile e che sommava nella propria natura due caratteristiche apparentemente inconciliabili. Gli olandesi si erano battuti coraggiosamente contro la Spagna cattolica, erano calvinisti e appartenevano quindi a una delle famiglie religiose più arcigne e rigorose della grande riforma protestante. Ma erano al tempo stesso spregiudicatamente liberali, tolleranti, disposti ad accogliere e ad ascoltare personalità, come Cartesio e Baruch Spinoza, che non esitavano a mettere in discussione tutte le verità «rivelate» della società europea. Il giovane Mandeville studiò medicina a Leida, pubblicò qualche studio sulla scienza medica e partì per Londra dove sperava di iniziare una proficua attività professionale. Ma aveva anche una vocazione letteraria, uno spirito tagliente e sfrontato, un gusto spiccato per i paradossi e una grande voglia di punzecchiare, scandalizzare, denunciare l’ipocrisia della società umana. Fu così che nel 1705 dette alle stampe un poemetto composto da circa quattrocento versi intitolato The Fable of the Bees, or Private Vices, Public benefits (La favola delle api, o vizi privati e pubblici benefici). La favola descriveva un alveare in cui tutte le api erano mosse dalle loro personali ambizioni e non esitavano, per raggiungerle, a «giocare sporco». Vi erano imprenditori spregiudicati che cercavano di conquistare mercati con ogni mezzo, avvocati che allungavano i tempi della giustizia per meglio spremere i loro clienti, giudici che vendevano le loro sentenze, soldati che millantavano guerre mai combattute, preti che incoraggiavano la superstizione dei loro fedeli per meglio dissanguarli, medici e apotecari che somministravano medicamenti inutili, mezzani che potevano soddisfare ogni perversione sessuale. Vi erano le api povere e quelle ricche, le api scaltre e quelle ingenue, le api laboriose e quelle indolenti. Ma la somma finale di questi vizi e peccati era la crescente ricchezza della società. Il quadro cambiò quando un gruppo di api integerrime decise che la società immorale degli egoisti dovesse lasciare il posto a una società retta da grandi principi e specchiate virtù. La rivoluzione morale segnò la condanna a morte di tutti i mestieri a cui la società corrotta, ma operosa, aveva assicurato compensi proficui. La contrazione dei redditi ridusse il volume del commercio e provocò la chiusura di molti negozi. La diminuzione dei reati e dei litigi impoverì centinaia di giudici, avvocati, carcerieri. La sobrietà sessuale mandò in pensione centinaia di mezzani e di prostitute. Mandeville fu moralmente lapidato e il suo nome, con un gioco di parole, divenne Man Devil, uomo-diavolo. Continuò a scrivere, imperterrito, e suscitò una nuova ondata di scandali quando pubblicò un libello sulla prostituzione intitolato A Modest Defence of Public Stews, una modesta difesa delle pubbliche stufe (come venivano chiamate allora, anche in Italia, le case di piacere ospitate nei bagni pubblici). Con un paradossale rovesciamento di metodo, Mandeville sostenne che la prostituzione privata era fonte di molti mali e che il modo migliore per evitarli fosse quello di legalizzarla con la creazione di una rete di «case». Anche questa proposta suscitò grande scandalo. Nell’Inghilterra degli inizi del Settecento Mandeville ebbe quindi molti nemici; ma era proprio questo che gli procurava maggiore piacere.