Mario Ajello, Il Messaggero 8/12/2012, 8 dicembre 2012
IL BIG BANG DELLE CORRENTI
Lo spezzatino che il Cavaliere tanto voleva, cioè le liste separate ma pronte poi a colpire insieme nelle urne, limitando la probabile sconfitta del centrodestra? Non s’è fatto. Ma un po’, anzi più di un po’, lo spezzatino c’è nel Pdl e non in una salsa che profuma d’armonia. Tutt’altro. Perché sono numerosi e destinati a crescere nei prossimi giorni quelli che non hanno salutato il ritorno di Berlusconi gridando «fiat lux», come Micaela Biancofiore, o che inneggiano alla forza miracolistica di Silvio capace di «evitare la vittoria della sinistra» (lo ha detto ieri l’ex ministro Gelmini).
La galassia azzurra non è un monocolore e ha in sé spinte centrifughe. Quando e se Monti, non più alla guida di una «strana maggioranza» ma di una maggioranza politica Pd più Udc, batterà un colpo a proposito del suo futuro, anche senza spingersi a fare un endorsement per l’area di centro, potrebbe partire la slavina di quelli che nel Pdl si sono dichiarati di fatto montiani votando in dissenso del gruppo (Frattini in primis) e di quelli in stand by (pezzi grossi del calibro di Lupi, Fitto, Quagliariello). Per non dire dell’area ciellina, guidata dal presidente degli eurodeputati berlusconiani Mario Mauro, e comprendente per esempio Formigoni, che ha già un piede fuori, che nel nome del popolarismo europeo si dichiara irriducibile a convivere con il neo-populismo berlusconiano e che si fa forte di sondaggi come quello curato ieri da Swg. Secondo il quale soltanto il 67 per cento degli elettori del Pdl è d’accordo sul ritorno in campo del Cavaliere e il 73 per cento degli italiani dissente da questa scelta.
Il blocco ciellino, dove si attende l’arrivo di Lupi se arriverà ma il suo voto di ieri alla Camera in dissenso nei confronti della linea del partito non è passato inosservato, è già di fatto avviato verso l’area dei moderati di centro, ancora da definire nelle sue articolazioni e nelle sue forme e comunque una realtà di fatto ormai. Così come è in movimento la zona Alemanno, confinante tramite legami storici stabiliti non da oggi con gli ambienti cattolico-ciellini, da cui Mantovano l’altroieri con il suo voto in dissenso con il Pdl ha lanciato un segnale e dove la rifondazione del partito, con tanto di primarie, è stato un grido di battaglia in questi mesi. Ma non diretto verso l’epilogo che la vicenda ha assunto con l’auto-riproposizione del Cavaliere.
C’è chi ha dato una lettura che riguarda anche Alemanno a proposito dei dieci che ieri hanno votato sì sul taglio dei costi alla politica. In realtà in questo drappello di Montecitorio c’è di tutto e se Mantovano, Saltamartini e Biava sono in sintonia con il sindaco di Roma, la presenza di Valducci (super-berlusconiano) non vale in questo discorso, così come quella di altri dei dieci. Marcello De Angelis, direttore del Secolo, assolutamente non montiano, così spiega il suo voto in favore del decreto: «E’ sul merito del taglio dei costi della politica e non in sostegno alla politica dell’esecutivo».
Nel berlusconismo 2.0 (o ’94 bis) i nuovi-vecchi triumviri sono Bondi-Verdini-Brunetta, le amazzoni alla Di Girolamo fungono da truppe d’assalto, Galan e Martino rappresentano la purezza liberale d’antan che il Cavaliere tiene in grande considerazione, mentre per i colonnelli ex An resta più che altro il ruolo dei riservisti. Giorgia Meloni, primarista a oltranza, fa storia a sè in questa galassia impazzita ma sul territorio ha dalla propria parte pezzi sia pure minuti di partito: «Ora che le primarie non ci sono più chi ha qualcosa da dire dove può farlo?», chiede lei. Sul fronte opposto, quello delle guerriere di Silvio, Micaela Biancofiore si è ritagliata un compito speciale: «Registro, per le strade, nei bar, al supermercato, le voci di tutte le persone comuni che chiedono a Berlusconi di salvare l’Italia. Poi gliele faccio sentire a lui, e lui raddoppia il suo ardore politico».
M.A.