Paolo Mauri, la Repubblica 8/12/2012, 8 dicembre 2012
Luciano Foà, uno dei mitici fondatori dell’Adelphi, sconsigliò fermamente a Giuseppe Marcenaro di scrivere una biografia di Montale
Luciano Foà, uno dei mitici fondatori dell’Adelphi, sconsigliò fermamente a Giuseppe Marcenaro di scrivere una biografia di Montale. «Era un uomo che non merita una biografia. Ce l’ha messa tutta per infilarla nella sua opera poetica. In fondo non ha fatto che parlare di sé. E poi dovresti tirar fuori troppi scheletri dall’armadio». Marcenaro una biografia di Montale l’ha poi scritta lo stesso nel ’99, ma vorrebbe riscriverla ancora e ancora e questo suo ultimo libro intitolato Testamenti con un sottotitolo che suona “Eredità di maîtresse, vampiri e adescamenti” in uscita da Bruno Mondadori, è in gran parte occupato dalla figura di Montale e dalle storie vere delle sue muse. Che ne sarà stato di Esterina, la deliziosa tuffatrice di Falsetto minacciata dai vent’anni? «Esterina si chiamava in realtà Esterina Rossi. Abitava a Genova in corso Podestà, al quarto piano di un caseggiato a strapiombo sul ponte Monumentale. Un palazzo di civilissima abitazione che suo padre aveva comperato per intero». Dunque era ricca, al punto d’aver fatto il giro del mondo con la “Crociera dei miliardari” quando aveva settantacinque anni. In casa conservava il manoscritto incorniciato di Falsetto e il tondo in bronzo che la raffigura ventenne, opera di Francesco Messina. «Eugenio mi ha fatto un bello scherzo», diceva ormai ottantenne: «Non ho mai potuto togliermi nemmeno un anno». Però quando la poesia si fa prosa perde tutto il suo fascino. Molto meglio tornare al finale che Montale, balbettando, le diceva di avere infine trovato: «Ti guardiamo noi, della razza / di chi rimane a terra». A Trieste, nella casa di Franca Malabotta, che ospitava una magnifica collezione di De Pisis, Marcenaro conosce una sera Gerti la titolare del Carnevale di Gerti ( Le Occasioni). Era piccola in modo sorprendente, al punto che Marcenaro evoca Freaks, il film “mostruoso” di Tod Browning. Eppure aveva avuto tanti uomini e alla domanda diretta su come avesse fatto lei risponde: «Con il sesso, naturalmente». Non so, scrive Marcenaro, se fosse orgogliosa d’essere un vivente personaggio della letteratura, per giunta amica di un altro fantasma montaliano, Dora Markus. Era stato, la storia è notissima, Bobi Bazlen ad ingiungere a Montale di scrivere una poesia su questa donna, da lui conosciuta in casa di Gerti, con delle gambe meravigliose. Un intero capitolo è dedicato al rapporto non facile tra Giovanni Ansaldo e Montale. Erano quasi coetanei, ambedue genovesi, ambedue lettori bambini del Giornalino della Domenica diretto da Vamba, l’autore di Gianburrasca. Ansaldo presto diviene caporedattore del Lavoro. Montale, pur desiderandolo, non riuscì mai a farsi assumere da quel quotidiano. Sia Ansaldo che Montale gravitano nell’orbita di Gobetti, ma quando Emilio Servadio porta ad Ansaldo una re- censione degli Ossi di seppia questi strilla indignato «Lei ne scrive come si trattasse di un nuovo Leopardi». Nel ’29, il 28 dicembre, Montale torna a Genova da Firenze e va a trovare Ansaldo, che così ne parla nel suo diario. «L’esangue Montale mi compare ieri dinanzi al tavolino di redazione… È veramente il degno poeta dell’upupa. Ma quest’uomo, che pare così distaccato, così lontano, così stanco e disabusato, è sorretto da una incommensurabile vanità…!». Montale non seppe mai di questo ritratto, ma a un amico scriveva: «Ansaldo ha sposato la serva (e brutta) per paura di essere becco ». Ansaldo sarebbe poi diventato il direttore del Telegrafo di Livorno, che era proprietà di Ga- leazzo Ciano. Non smisero mai di guardarsi con antipatia, come i duellanti di Conrad, ma, ci informa Marcenaro, il caso li ha giocati entrambi. Nel Meridiano di Montale dedicato agli articoli di giornale, si è infilato, spacciato per montaliano, un articolo di Ansaldo su Remigio Zena. Testamenti è un libro di memorie. Marcenaro le coltiva da molto tempo e ha già dedicato, per esempio, diverse fatiche alla gentile signora (così la chiamava Gadda) Lucia Rodocanachi nata Morpurgo. Poliglotta, molto intelligente, era stata assoldata come traduttrice da diversi letterati tra i quali figurano Vittorini, Montale stesso, Gadda e altri ancora. Nella sua casa di Arenzano il giorno dopo Natale o il lunedì dell’Angelo, riuniva gli amici scrittori che talvolta ospitava d’estate anche a pagamento. La storia delle traduzioni è nota e non fa molto onore ai letterati che si servirono bassamente della fin troppo gentile signora senza neppure un riconoscimento in nota. Di Montale fu amica anche intima e forse aspirò ad entrare nel variopinto mondo delle sue muse, ma non accadde mai. Si scrissero molto e qui Marcenaro recupera lettere e biglietti, ma non ci fu tra loro la passione esplosa per Irma Brandeis (Clizia) che per lo più fu una passione epistolare. Si videro a Firenze, ma poi lei rientrò a New York e Montale, pur promettendolo, non la raggiunse mai. «Tu eri e sei l’unica carta della mia vita», le scrisse ad un certo punto, mentre anni dopo alla Rodocanachi, che gli aveva inviato le condoglianze per la morte della Mosca scriveva: «Per me la Mosca non è stata né una moglie, né un’amante, ma una carta che avevo giocato». Testamenti, ora lo debbo dire, non parla solo di Montale. C’è Gadda che scrive e va a trovare Lucia Rodocanachi (ma qui Marcenaro ha già all’attivo un volume di Lettere a una gentile signora, Adelphi 1983) e ci sono tanti altri: Mario Luzi, Carlo Betocchi, Bobi Bazlen… Un capitolo è dedicato a Pontiggia che muore dal ridere perché ha appena ricevuto una ragazza incaricata di una inchiesta “porta a porta” sulla lettura e non sa, ovviamente, che Pontiggia è un bibliofilo e ha già riempito due appartamenti di libri. «Quanti ne compra?». «Cento, risponde lo scrittore». «All’anno?». «Ma no, al mese». E poi c’è Carlo Bo, che sempre chiede, fino all’ultimo giorno: che cosa c’è di nuovo? Marcenaro lo va a trovare in clinica il giorno prima della morte. Bo chiede un sigaro. «Ma non si può fumare! ». «Io posso», replica lui. Ecco Marcenaro, in questo denso libro di ricordi, ha raccolto di tutto e persino il fumo dei sigari. Manca, ed è un peccato, l’indice dei nomi.