Aldo Grasso, Corriere della Sera 8/12/2012, 8 dicembre 2012
La seconda edizione di «X Factor» targata Sky si è chiusa con una finale spalmata su due serate, organizzate per valorizzare al massimo il successo raccolto in questi mesi (Sky Uno, giovedì e venerdì, ore 21
La seconda edizione di «X Factor» targata Sky si è chiusa con una finale spalmata su due serate, organizzate per valorizzare al massimo il successo raccolto in questi mesi (Sky Uno, giovedì e venerdì, ore 21.10). Forse un unico appuntamento avrebbe giovato di più alla tensione narrativa dell’elezione del vincitore, ma il risultato finale è stato comunque uno spettacolo unico per gli standard della televisione italiana. Speriamo che fosse sintonizzato anche il presidente della Bbc, giusto per risollevare un po’ la sua idea della nostra televisione. Molto è stato scritto e detto su questa sesta edizione del talent, sulla grandiosità della produzione, sulla simbologia degli allestimenti pop di Luca Tommassini, sull’interesse musicale dei concorrenti, su come un evento televisivo sia diventato anche una fittissima nuvola di discorsi e pratiche sui social network. Unico neo, il talk finale Extra Factor, che rischia di svilire uno show di alto livello e trascinarlo verso gli abissi della generalista. Come sempre, le cose più interessanti sono successe quando i giudici sono stati capaci di farsi veri mentori, di indirizzare la trasformazione di un concorrente da pura potenzialità a un abbozzo di «pop star», di estrapolare con un processo maieutico le sue qualità migliori per farle crescere. Più di tutti c’è riuscito Morgan, con il rapper Ics e l’eccezionale Chiara, e poi la Ventura con l’ex caldaista Davide. Sulla lunga distanza, Elio è sembrato un po’ meno in palla del solito, ma sempre capace di creare un mood stralunato che giova molto a tutto l’insieme. Tra i giurati, l’elemento più debole del gruppo è Arisa: a tratti si fatica quasi a capirne il perché. X Factor ha fatto bene all’immagine della piattaforma Sky, e, se ce ne fosse ancora stato bisogno, ha dimostrato che la famigerata qualità televisiva non è un concetto astratto e fumoso ma solo un modo di fare bene le cose.