Sergio Bocconi, Corriere della Sera 8/12/2012, 8 dicembre 2012
MILANO —
Diventa subito un «caso» l’ipotesi che il Fondo strategico italiano, controllato dalla Cdp e quindi dal Tesoro, possa diventare il secondo azionista di Generali rilevando il 4,5% detenuto da Bankitalia. L’eventuale passaggio della quota al Fsi, una delle strade che Via Nazionale ha allo studio per risolvere il potenziale conflitto d’interessi che si verrebbe a creare in gennaio quando assumerà, attraverso l’Ivass, la supervisione sulle compagnie assicurative, viene visto con preoccupazione da alcuni soci di rilievo del Leone per motivi che anche il presidente del Leone, Gabriele Galateri, ha manifestato di condividere.
Timori ieri resi espliciti da un portavoce del gruppo De Agostini, azionista a Trieste con il 2,43% e presente in consiglio con Lorenzo Pellicioli: «Siamo preoccupati per il potenziale danno all’immagine di indipendenza delle Generali, soprattutto sui mercati internazionali che faticherebbero a comprendere una soluzione di questo tipo, leggendoci il rischio di un intervento della politica. Una vendita sul mercato sarebbe certamente più apprezzata». E Galateri ha commentato così l’ipotesi riportata da «La Stampa»: «Credo sia molto importante mantenere un rapporto di indipendenza e stabilità, come la Banca d’Italia ci aveva dato. Tutto quello che ci tiene lontano dalla politica e da cose che possono disturbare la gestione della società è molto positivo». Alcune fonti coinvolte hanno poi sottolineato che «suscita stupore l’ipotesi che si pensi di impiegare un miliardo in una quota di minoranza in Generali, il cui consiglio non ne sente alcuna esigenza, in un momento in cui non mancano necessità di investimenti per la struttura industriale del Paese». La questione non è stata ieri sul tavolo del comitato esecutivo della compagnia, focalizzato ieri sul budget 2013 che sarà approvato dal consiglio il 14 dicembre, e sulla riorganizzazione in Italia, parte del piano strategico che sarà presentato il 14 gennaio dal group ceo Mario Greco. Non sono mancate però considerazioni a margine.
Da Via Nazionale si registra solo un no comment. Tuttavia il direttore generale Fabrizio Saccomanni ha di recente dichiarato che «all’entrata in vigore» dell’Ivass «la soluzione sarà trovata». Il conflitto sarebbe del resto ancora più evidente anche perché Generali, unica assicurazione, detiene il 6,3% dell’istituto di vigilanza. Secondo l’ipotesi allo studio Bankitalia potrebbe conferire il 4,5% del Leone, il cui valore si aggira sui 900 milioni, partecipando a un aumento del Fsi. Operazione in teoria inseribile nel perimetro degli interventi del Fondo ma poco compatibile con le sue finalità e modalità operative. La via della vendita alla Cdp sarebbe stata esclusa perché la stessa Via Nazionale, che al momento non ha diretta responsabilità di vigilanza sulla Cassa, ne ha però più volte rilevato la incapienza patrimoniale rispetto alle partecipazioni in Eni, Snam, Terna. L’opzione del fondo controllato potrebbe avere il sapore di un «escamotage» poco in linea con la trasparenza dell’authority. Che annuncerà la soluzione nei prossimi giorni. Intanto Carlo Cimbri di Unipol ha già chiarito che venderà il suo 1% del Leone sul mercato.
Sergio Bocconi