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 2012  dicembre 07 Venerdì calendario

Gli Sms (Short massage service) brindano ai loro primi vent’anni e già devono fare i conti con il declino che bene conosce chi ragazzino non è più

Gli Sms (Short massage service) brindano ai loro primi vent’anni e già devono fare i conti con il declino che bene conosce chi ragazzino non è più. Proprio loro, l’applicazione «killer» perché capace di condizionare intere generazioni, di venire percepita come irrinunciabile, ormai sanno di passato, di epoca andata. Il «messaggino» ha saputo sgomitare e schiacciare la telefonata all’angolo e oggi viene schiacciato. Perché di colpo si sono fatti largo i network che fanno tanto social, quelli che ti permettono di curiosare con regolarità nella quotidianità altrui. Gli stessi che tu pensi una cosa e la scrivi e in un colpo, a costo zero, l’hai detta a tutti. Anche a quelli che non conosci, anche a quelli che proprio, la tua opinione, non l’avrebbero ascoltata. Basta scegliere, anche se la tendenza impone di citare almeno una volta Facebook e Twitter. Gli sms sono altra cosa, penserete. Vero. Lo sono e hanno fatto la storia e poi garantiscono maggiore intimità. Già, ma vent’anni possono essere pochi eppure tanti, perché han fatto capolino anche le chat, le tante chat. Quelle rapide che installi anche sul telefonino iper-moderno. E no, loro proprio non le paghi. Messenger fa parete di queste e chi la usa poco, generalmente, lo fa perché ha preso gusto nell’utilizzarne qualche altra. I telefoni mobili sono cambiati, i tempi sono cambiati, e la frustrazione è di chi ci ha messo anni a mettersi in pari: abbiate il coraggio di dirlo ai sessantenni che ora gli sms sono cose da dinosauri. Il 3 dicembre 1992 un ingegnere della Vodafone inviò dal proprio computer un messaggio. Poco tempo dopo il display di un cellulare si illuminava, il testo era lì, leggibile. Le parole si erano fatte anche scritte, pure via telefono. Il primo sms della storia fu seguito da quello targato Nokia, capace per la prima volta di inviare un sms da cellulare a cellulare. Il fascino dei ricordi intenerisce e c’è chi al «messaggino», a quel tintinnio del telefono spesso carico di tenerezze amorose, ha (anche a buona ragione) dedicato un libro: Solo Mio Sarai è la fatica di Anna Carmen Lo Calzo (Morellini Editore, pagg. 144, euro 9.90). Un viaggio a tu per tu con la tastiera, le lettere sempre più piccole, le regole di comportamento, specie quando tra un display e l’altro si cela o si palesa un corteggiamento, gli immancabili aneddoti, fino alle curiosità raccolte tra i vip. Che si faccia parte delle "persone veramente importanti" o meno, i circa 200mila sms inviati ogni secondo raccontano spezzoni di storie, vite e mestieri ma soprattutto vizi e vezzi. Solo si potessero contare i matrimoni saltati a causa di un sms arrivato nel momento (o al numero) sbagliato. La caccia all’amante oggi passa tutto dal cellulare che per tutta risposta s’è organizzato, munendosi di codice di sicurezza. Il grande classico resta il messaggio in cui si insulta il datore di lavoro che tragicamente finisce tra le mani del datore di lavoro. Gelosie intrighi e amori si sono celati in quella manciata di caratteri, gli stessi che hanno figliato un linguaggio a tratti incomprensibile finito, troppe volte, nei temi d’italiano dell’adolescente-studente. E se gli sms hanno stravolto il linguaggio, il modo di comunicare, a loro volta sono stati stravolti. Sono arrivati infatti gli «Emoji», evoluzione delle faccette tristi o felici prima stilizzate con punti, virgole e parentesi tonde, e pure dei semplici smile. Loro, gli emoji, infatti raffigurano un po’ tutto. Dall’aereo al panino, all’ospedale alla casa. Pensate a qualcosa e sappiate che probabilmente la parola è già stata sintetizzata in un disegnino, utilizzarli vuol dire risparmiare mente, caratteri e fatica. Di linguaggio in linguaggio ci si affaccia a quello degli squilli: uno può voler dire «scendi», un paio segnalano un ritardo e via dicendo. Confondersi è un attimo, ma pare che i ragazzi in questo modo «comunichino» parecchio. Gli sms compiono vent’anni dopo averci cambiato e forse sono già, almeno in parte, passato.