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 2012  dicembre 07 Venerdì calendario

GLI ULTIMI GIORNI DI PALAZZO GRAZIOLI


MOVIMENTI di folla uguali e contrari davanti al portone principale, barzellette sul retro, volti sconosciuti al di là delle transenne, stridore di gomme, sventolio di striscioni, presagi da marciapiede.

E COMUNQUE sono gli ultimi giorni di Palazzo Grazioli. Ieri, prima che iniziasse il vertice, che poi è cominciato come una specie di pranzo leggero, s’è presentato lì, per strada, l’onorevole Lehner. Recava con sé alcuni amici che ha presentato ai giornalisti come ex minatori del Monte Amiata, antifascisti e anticomunisti, ha specificato, già fondatori di un antichissimo club di Forza Italia.
Sono giorni molto complicati e forse anche per questo la politica assume un tratto un po’ onirico. Gli ex minatori, a loro volta, portavano una bandiera del gruppo «Nuova Forza Italia» con uno stemma invero non bellissimo con tre capocchie di ibiscus tricolore, e poi hanno inalberato uno striscione che diceva: «Silvio, l’Italia crede in te».
L’affermazione è anche comprensibile, ma ormai suona eccessiva perfino sul posto. Qualche giorno fa, proprio dove ieri stazionavano i devoti lehneriani, si sono presentati alcuni giovani sempre del Pdl, però niente affatto fiduciosi nei confronti del Cavaliere, tanto da indossare provocatorie maschere tipo Anonymous e cerottoni sulla bocca.
Invocavano infatti quelle benedette primarie per organizzare le quali proprio lì a Palazzo Grazioli, dall’inizio di novembre,
era stato impiantato un «tavolo delle regole», stesa una bozza e poi approvato un regolamento. Mancavano solo i garanti: «Li sceglierò io» aveva chiarito a scanso d’equivoci il presidentissimo, prima di cominciare inesorabilmente a traccheggiare e poi a cambiare definitivamente idea.
Di qui il flash mob di «Officina futura» a via del Plebiscito, con la partecipazione ordinaria degli onorevoli Augello e Angelilli, coppia ex An, e quella straordinaria di Giorgia Meloni che s’era affacciata da quelle parti, pur evitando di farsi fotografare dietro uno striscione che diceva: «Basta giravolte, basta dinosauri».
La faccenda del dinosauro, o Berluscosauro, è un’altra di quelle stranezze che s’impongono per qualche giorno sulla scena in quanto sostenute dalla stessa materia di cui sono fatti i sogni.
Incalzato dai giornalisti e pressato dalla sua stessa e più completa mancanza di prospettive sul futuro (suo, del Pdl, del governo, dell’Italia), Berlusconi se n’è uscito dicendo che avrebbe tirato fuori dal cilindro non il classico coniglio, che non è roba da megalomani, ma un dinosauro.
Poi si vede che l’immagine gli è piaciuta e una settimana fa, uscendo a piedi sulla piazzetta Grazioli, c’è ritornato su con l’aggravante dell’umorismo abbinandola alla circostanza del suo dimagrimento avvenuto nel resort kenyota «Lion in the Sun». Anche in questo caso è difficile
tenere assieme i fili di un discorso logico. Ma quando crollano i poteri, tra ex minatori, ibiscus, garanti e cerottoni, il ragionamento lascia un po’ il tempo che trova; e con tale premessa si troverebbe anche il cuore di far presente che proprio la notte in cui il centrodestra ha perso le elezioni
in Sicilia, un giovanotto ubriaco, per giunta alla guida di una Porsche, ha prima abbattuto una fioriera e quindi si è andato a schiantare sulla facciata di Palazzo Grazioli.
Agli amanti delle premonizioni si dirà che è il secondo incidente di questo tipo, in meno di due anni. Mentre per quel che riguarda il «normale» tran tran cortigiano, è bene sapere che Berlusconi ha sfoggiato un Borsalini di feltro modello «Fedora» e raccontato di nuovo la storiella del fratello che si sente una gallina. In pieno accordo con la favorita di Sua Maestà, Francesca Pascale, come tale con diritto di posteggio di Smart nel cortile, l’onorevole Mariarosaria Rossi ha preso pieno possesso della dimora, per di più procedendo a una apprezzabile
spending review.
Così come, dopo la raccolta del mese scorso, grazie a una sollecita nota dell’AdnKronossi è venuto a sapere che il regista di Berlusconi, Gasparotti, produce un olio biologico dal suo podere in Sabina.
Nel frattempo hanno varcato il fatidico portone due governatori dall’incerto futuro come Formigoni e Polverini; due onorevolissimi Cristiano Popolari, Baccini e Galati, che si sono assunti il gravoso impegno di intrattenere ignari vecchietti trasportandoli nelle loro convention («Tristi episodi di deportazione popolare » secondo il
Foglio);
e infine due amazzoni consacrate al Cavaliere come Santanchè e Biancofiore.
Quest’ultima ha salutato ieri la ridiscesa in campo non solo evocando la luce dell’alba, ma attribuendo all’evento il potere di «riportare il sole nell’asfittica politica italiana». Altre deputatesse non hanno mancato di esprimere un sostegno che ai maliziosi è parso tanto più caldo quanto più tardivo. Sia come sia, Ravetto ha invitato il leader a compiere un «ulteriore sacrificio», Bernini ha manifestato «entusiasmo», Bergamini ha citato Cesare e «il dado è tratto», Renzulli «un attaccante che faccia gol» e Giammanco «il carisma», «la lungimiranza» e, visto che c’era, anche «la forza del combattente».
In compenso l’ex ministro Bondi si è molto scocciato e non vuole più partecipare a questi vertici. Il gran rifiuto è a far data da ieri. Quando è sceso per strada, sul Plebiscito c’era davvero una luce sinistra e stava per grandinare.