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 2012  dicembre 07 Venerdì calendario

NON METTIAMO PIÙ VERDI CONTRO WAGNER


Come spesso avviene quando ci si occupa d’opera in Italia, viene da chiedersi in che secolo viviamo. Il Lohen- della Scala ha dato lo spunto alla polemica più grottesca degli ultimi anni, pura archeocritica, roba da Flintstones della musica. In sintesi: lo scandalo sarebbe il fatto che la Scala ha deciso di aprire la stagione ‘12-’13, quella del bicentenario di Verdi e di Wagner, con un titolo di quest’ultimo. Apriti cielo: povera Italia, povero Paese del melodramma, poveri noi. Il tutto raccontato da gente che non distingue un soprano di coloratura da un basso profondo e impaginando il parere di Claudio Abbado (che ha detto ovviamente che inaugurare la Scala con Lohengrin è normalissimo, del resto lo fece anche lui) come quelli, scandalizzatissimi, di noti musicologi come Gabriele Albertini o Dolce & Gabbana. Anzi, più in basso.

Che in realtà l’anno verdiano sia il ‘13 e infatti la Scala apra allora con Traviata ; che il Regio di Torino ( L’Olandese volante ) e il Massimo di Palermo ( L’oro del Reno ) inaugurino entrambi con Wagner; che la stagione milanese preveda sette titoli verdiani di cui cinque nuove produzioni, più di ogni altro teatro al mondo (per dire, quelli dell’Opera di Roma, promossa di botto a Bayreuth di Verdi, sono tre); bene, tutto questo non conta rispetto ad argomenti che sarebbero stati considerati stantii un secolo fa, figuriamoci oggi.

In realtà, si è colto il Lohengrin al balzo per promuovere un libro su Verdi e, soprattutto, per montare l’ennesima polemica prêt-à-penser contro Stéphane Lissner. Non ce ne sarebbe bisogno, visto che nel ‘15 il sovrintendente della Scala se ne andrà a Parigi, immaginiamo con un certo sollievo. Ma si tratta di mettere il cappello sulla successione, o meglio di favorirne una nel segno di una bella autarchia vernacola, visto che quanto siamo bravi noi italiani a gestire i teatri d’opera è sotto gli occhi di tutti. Però almeno si potevano scegliere temi un po’ più attuali che il derby Verdi-Wagner. Per esempio, contestare alla Scala che un nuovo Lohen-grin e anche piuttosto bello (ma meno di questo), è stato fatto cinque anni fa mentre, per esempio, I Maestri Cantori sono «desaparecidos» da una vita. La realtà è che si è scelto Lohengrin perché era disponibile «il» Lohengrin di oggi, cioè Jonas Kaufmann. «O le opere per i cantanti o i cantanti per le opere»: guarda caso, è la massima preferita di Verdi.

Intanto l’affare, che poteva essere liquidato con una sana risata, è diventato un affare di Stato perché, fra le varie sciocchezze, è stata fatta passare alla pubblica opinione anche quella che Giorgio Napolitano non avrebbe onorato il 7 dicembre con la sua presenza perché sdegnato dalla scelta wagneriana. E allora il Presidente della Repubblica ha scritto a Daniel Barenboim per spiegare che solo «impegni istituzionali» lo trattengono a Roma e impartire una lezione di buonsenso, anche musicale, che vale la pena di citare ampiamente: «Considero del tutto futile qualsiasi polemica sull’ordine di priorità tra celebrazioni per gli anniversari wagneriani e verdiani, e piuttosto patetico il riesumare (perfino, vagamente, in chiave di antagonismi nazionali) contrapposizioni che infiammarono nella seconda metà dell’Ottocento amatori e sostenitori dell’arte di Wagner e dell’arte di Verdi».

Ecco il punto. Continuare a contrapporre l’uno all’altro, molto semplicemente, non ha più senso, concesso e non dato che mai l’abbia avuto. Non sono solo venute meno tutte le ragioni polemiche di quel tempo, perché la musica dell’avvenire è diventata inevitabilmente musica del passato e perché oggi nessuno che non voglia esser preso a pernacchie può più sostenere che Verdi fosse un passatista attardato a scrivere cabalette. Ma anche perché oggi ci è chiaro che quello che accomunò Verdi e Wagner è molto più forte di quello che li divise. Che, per esempio, avevano in comune una certa idea del teatro musicale appunto come teatro e non solo come musica. Che entrambi sono stati dei rivoluzionari che hanno dinamitato l’arte del loro tempo. Che magari uno raccontava più l’Uomo e l’altro più l’Umanità, che forse uno era più pragmatico e l’altro più intellettuale, ma che molti dei loro obiettivi e dei loro ideali erano gli stessi. Verdi questo l’aveva capito benissimo. E, più sincero di Wagner, lo scrisse. Il 19 novembre 1871 va al Comunale di Bologna ad ascoltare proprio il Lohengrin che aveva debuttato lì, prima opera wagneriana rappresentata in Italia. A Sant’Agata c’è lo spartito annotato dal Maestro con il suo giudizio finale: «Impressione mediocre. Musica bella quando è chiara e vi è il pensiero. L’azione corre lenta come la parola: quindi noia. Effetti belli di stromenti».

Ma quando, dodici anni dopo, Wagner muore, Verdi scrive a Giulio Ricordi, nel suo italiano spiccio ma splendido, una lettera rimasta giustamente celebre: «Triste! Triste! Triste! Vagner (sic) è morto!!! Leggendone jeri il dispaccio, ne fui, stò per dire, atterito! Non discutiamo. - E’ una grande individualità che sparisce! Un nome che lascia un’impronta potentissima nella Storia dell’Arte!!!».

Ecco qui. Il resto, per dirla con il Presidente Napolitano, «è piuttosto patetico».