Luigi Offeddu, Corriere della Sera 07/12/2012, 7 dicembre 2012
DALLO SMOG ALLE GALLINE OVAIOLE. LE (TANTE) MULTE DELLA UE ALL’ITALIA —
Il castigo arriva a cavallo di una formula infernale: «Pg = (Sbp × Cg × Cd) × n». Non è uno scongiuro magico, ma la base matematica su cui la Commissione europea calcola le multe da appioppare ai vari Stati, quando vìolino questa o quella normativa comunitaria. A ogni discolo, la sua pena: nel caso dell’Italia, sanzione minima forfettaria di 9.920.000 euro, e penalità di mora oscillante fino a 700.000 euro per ogni giorno di ritardo nel pagamento, «a seconda della gravità del fatto a monte».
Vuol dire che, tanto per fare un esempio recente, Roma si è sentita chiedere da Bruxelles 98,9 milioni a titolo di rimborso di fondi per l’agricoltura «spesi indebitamente»; o che ora rischia di pagare 8.854.000 più una penale di mora da 10.800 a 652.800 euro al giorno per le sue norme sulle concessioni demaniali delle spiagge. Bastonate solenni, anche perché si ripetono da decenni; e a volte, decisamente non inevitabili. Proprio per tentare di ovviare a questo andazzo, ieri il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge «salva sanzioni».
La prima procedura di infrazione aperta dalla Commissione Europea contro l’Italia risale al 1985. E da allora, è stata una valanga. Nel 2011, il triste primato: l’Italia ha superato tutti con le sue 135 procedure, seguita a ruota dalla Grecia (123). E lontanissima dalle virtuose Lettonia (23) o Estonia (36). Quest’anno è andata assai meglio: siamo scesi infatti a 101 procedure, di cui 84 collegate a presunte violazioni del diritto Ue, e 17 al mancato recepimento di direttive comunitarie. Ma siamo sempre fra i più discoli della classe, e quelli dal portafoglio più minacciato per il castigo incombente.
«Concilia?»: come i vigili urbani di un tempo, anche Bruxelles cerca un compromesso con i vari Stati Ue, quando si tratta di calcolare un’ammenda. Tre sono infatti le fasi della procedura, con diverse richieste di spiegazioni e infine con il deferimento del Paese sotto accusa alla Corte di giustizia europea, cioè al tribunale. Il tutto può durare anni. E in quell’arco di tempo, vari Paesi riescono appunto a «conciliare», cioè a evitare le ammende più pesanti. Ma se le spiegazioni richieste non arrivano, o se si accumulano i ritardi nell’applicare sentenze e norme, allora arriva la mazzata.
I settori più «a rischio» per noi sono l’ambiente (27 procedure), la fiscalità (12), il lavoro e gli affari sociali (10). E in quella montagna di carte, c’è di tutto: per esempio, una procedura di infrazione «in materia di protezione delle galline ovaiole». O un’altra per la «normativa della caccia agli uccelli», o per la «vaccinazione contro la febbre catarrale degli ovini». Rischiamo per esempio di sborsare 96.000 euro al giorno per non aver rispettato — solo noi e la Polonia — la direttiva sui requisiti patrimoniali minimi delle banche. Oppure 800 milioni «secchi» per il superamento dei valori minimi delle polveri sottili Pm10 nell’atmosfera di Milano e di altre città. Per Bruxelles, è la Lombardia la regione più a rischio per i suoi cieli avvelenati, infatti è stata deferita insieme con l’Italia davanti alla Corte di giustizia europea: è almeno da 15 anni che se ne parla, e varie volte i blocchi del traffico milanese decisi proprio su stimolo della Ue sono stati cancellati all’ultimo momento per le proteste dei commercianti.
Un «conto» da 56 milioni, più 256.819,20 euro per ogni giorno di ritardo, è già pronto per la mancata bonifica delle discariche abusive dei rifiuti, in varie regioni. E qui si parla di 255 discariche, 16 delle quali contenenti rifiuti pericolosi: la Ue ci chiede di agire da 5 anni, invano. Forse, a Bruxelles, qualcuno sta già preparando per Roma quella formuletta diabolica, «Pg = (Sbp × Cg × Cd) × n».
Luigi Offeddu