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 2012  dicembre 07 Venerdì calendario

LA SVOLTA DOPO L’ANNUS HORRIBILIS


Adesso tutti dicono evviva, finalmente, era ora, solo lui poteva decidere nello stesso giorno di liberarsi dell’odiato «governo dei banchieri» e guidare la riscossa del centrodestra. Parlano così, nel partito, anche quelli che fino a ieri erano i «montiani», fautori della svolta mirata a trasformare in leader del nuovo centrodestra lo stesso presidente del consiglio che ieri è stato affossato.

Nel Pdl che prende la rincorsa, non c’è spazio per la domanda che tutti si fanno dopo quel che è accaduto: ma come fa un uomo di settantasei anni, giunto al termine della sua parabola politica, a decidere di rimettersi in gioco e ricandidarsi per la sesta volta alla guida del Paese?

Quando si parla di Berlusconi, si sa, la risposta non va cercata nella logica politica, ma in quell’impasto di intuito, senso dell’avventura e gusto per le sfide che lo ha caratterizzato nella sua lunga vita di imprenditore e di leader politico. Con l’aggiunta, però, di un di più di solitudine e di disperazione che lo hanno accompagnato nell’ultimo anno, da quel fatidico 15 novembre 2011 dell’annuncio delle dimissioni alla decisione di tornare in campo.

Chi gli è stato vicino in questi mesi sostiene che all’inizio, ma solo all’inizio, s’era rassegnato. La gazzarra di quella sera sotto casa sua lo aveva indignato, ma il giorno dopo la festa dei suoi supporters lo aveva riconfortato. Si sentiva sconfitto, sì. Ma anche sfinito e rassegnato all’impossibilità di cambiare il Paese come aveva sognato.

Se ne era stato tranquillo fino a Natale. E aveva accolto con soddisfazione il voto con cui l’11 gennaio 2012 la Camera evitava l’arresto a Nicola Cosentino, il discusso plenipotenziario della Campania. Un favore che il vecchio amico Bossi gli aveva reso, anche a dispetto delle proteste dei leghisti, e del prezzo da pagare con gli elettori nordisti per il salvataggio di un terrone inquisito per camorra. Altra buona notizia, il 9 marzo, era stato l’annullamento in Cassazione della condanna per mafia di Marcello Dell’Utri. Una decisione inattesa anche dall’interessato, che temeva il peggio, e subito contraddetta da nuove indagini della magistratura, sullo stesso Dell’Utri, sulla moglie e sull’aiuto datogli da Berlusconi con l’acquisto della villa brianzola del senatore, che in caso di sentenza infausta si preparava a emigrare a Santo Domingo.

Il fronte della magistratura, nel bilancio dell’annus horribilis del Cavaliere, ha pesato più di qualsiasi sconfitta politica. Non a caso Berlusconi non s’è mai rassegnato all’ingiunzione con cui i giudici del caso Mondadori lo hanno costretto a pagare più di mezzo miliardo di euro a Carlo De Benedetti. E per la stessa ragione, la condanna subita a Milano un mese fa, nel processo per l’evasione fiscale sui diritti cinematografici delle sue tv, lo ha convinto, nel giro di ventiquattrore, a rimangiarsi l’addio comunicato solennemente in televisione.

Politicamente, per tutta la durata di quest’anno, Berlusconi è apparso deluso, quando non disgustato dalla piega presa dal Pdl: il partito fondato in piazza San Babila in mezzo a gente osannante, e intitolato per questo al Popolo della libertà, lo vedeva sprofondare a poco a poco nelle liturgie classiche della politica. Vertici inconcludenti, correntismo, faide interne. Niente entusiasmo. Un linguaggio involuto, lontano dalle sofferenze inflitte dal «governo delle tasse» a chi aveva condiviso il suo sogno. E anche quando provava a rappresentare gli interessi delle partite Iva o dei piccoli e medi imprenditori, il Pdl lo faceva, ai suoi occhi, seduto insieme a tutti gli altri al tavolo delle trattative a Palazzo Chigi, non per strada e sul territorio.

Poi, sono arrivate le sconfitte. Il centrodestra che già veniva dalla batosta del 2011, la sorpresa dei sindaci di Milano e Napoli, l’avanzata dell’antipolitica, la novità di Grillo, non poteva permettersi di essere battuto due volte, alle comunali e alle regionali, a Palermo e nella Sicilia ch’era stata il granaio dei voti di Forza Italia nell’epoca precedente. E’ in questo quadro che anche il rapporto tra Berlusconi e il suo delfino ha cominciato a logorarsi. Non sul piano personale, perchè, soprattutto in questa stagione di solitudine, il Cavaliere non rinuncia ai suoi affetti. Ma su quello caratteriale, prima che politico. Avrebbe voluto sentire il suo pupillo più portato a osare, a scommettere sugli slanci e sulle mosse imprevedibili che hanno segnato in tutte le sue stagioni lo stile berlusconiano. E non avrebbe mai voluto vederlo innamorare delle primarie del Pd.

Quelle file ordinate degli elettori del Pd che Berlusconi si ostina a definire «comunisti» rappresentavano per lui «una prova generale del regime che vorrebbero imporre», oltre a significare l’esatto contrario della sua idea di democrazia. Berlusconi infatti pensa che la democrazia debba essere festa, canti, balli, karaoke, ola da stadio. Ancora oggi, a un anno dal suo ritiro, è felice quando lo fermano per strada o lo chiamano ad alta voce gridando il suo nome. Il suo odio per le primarie nasceva di lì: ecco perchè le ha fatte saltare.

Così è arrivato alla svolta. Covarla, la covava almeno da giugno. Ma nell’accelerata finale dell’ultimo mese, anche stavolta, come ai tempi della prima discesa in campo, s’è ritrovato isolato. Neppure Letta e Confalonieri, gli amici più fidati, gli hanno detto di sì. Mentre prepara il suo ritorno, il discorso, i manifesti, il simbolo del nuovo partito, le apparizioni in tv, con la sua maniacale cura dei dettagli, Berlusconi è solo. Ma non gliene importa niente.