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 2012  dicembre 07 Venerdì calendario

IL BOND MONTE PASCHI E IL TESORO FUORI DALLA PORTA


(f.mas.) La linea del governo sugli aiuti di Stato al Montepaschi l’ha chiarita ieri Vittorio Grilli: il Tesoro non intende entrare nel capitale dell’istituto senese. «Non vedo ancora assolutamente un’ipotesi di quel tipo», ha detto ieri il ministro dell’Economia. Per il resto però, a distanza di sei mesi da quando lo scorso giugno vennero varati i nuovi Tremonti bond — ora ribattezzati Monti Bond —, continuano a non esserci certezze sui tempi e sulle modalità dei bond di Stato, in particolare per il tasso di interesse che la banca dovrà corrispondere (attorno al 10%). Le discussioni fra il Tesoro e la Commissione europea sulla compatibilità bond con il meccanismo comunitario degli aiuti di Stato, ha portato a un accantonamento della formulazione originaria del provvedimento, che consentiva di pagare con nuove azioni Mps calcolate a patrimonio netto i dividendi sui bond in caso di assenza di utili (come sarà quest’anno): per la Ue il valore da attribuire alle nuove azioni è quello di mercato, con conseguente effetto maggiormente diluitivo per i soci come la Fondazione Mps. La soluzione sembrava essere stata trovata venerdì scorso al Senato con l’emendamento al decreto sviluppo che introduceva il pagamento dei dividendi dei 3,9 miliardi di bond con ulteriori bond: un modo per evitare un ingresso del Tesoro all’8-9% già ad aprile. Ma la norma è stata bocciata. Quella appare comunque la strada che il governo intende seguire: così adesso si dovrebbe tentare di recuperarla la prossima settimana nella legge di Stabilità. Paradossalmente il ritardo fa risparmiare la banca: quest’anno dovrà pagare interessi solo per gli 1,9 miliardi di vecchi Tremonti bond, mentre i nuovi 2 miliardi verranno pagati ad aprile 2014. Ma a Siena l’incertezza non fa piacere. E, anche per il declassamento a «junk» da parte di Standard & Poor’s (dopo quello di Moody’s), neppure al mercato.


DOPO FACEBOOK HARVARD SCOMMETTE SULLE START-UP–
(m.sid.) In un colorato open space alla Google la più che centenaria Harvard si sta attrezzando per una missione impossibile: istituzionalizzare l’entropia delle start-up e creare la «Facebook 2» a tavolino. Il fallimento è assicurato. L’Hi Lab, come è stato battezzato, si prefigge di diffondere la cultura-religione della start-up nelle aule a mattoncini rossi dell’ateneo frequentato anche da Mark Zuckerberg. L’Hi Lab ha anche accolto Andrew McCollum, il cofondatore di Facebook. «I nostri studenti hanno avuto la possibilità di intrattenersi con lui 45 minuti» si è vantato con Le Monde Gordon Jones, direttore della struttura. Ma il punto è proprio questo. Zuckerberg pensò Facebook nel campus, ma più nel disordine adolescenziale della sua stanza che nell’ordine pur sacro delle aule. E la migrazione di questo spirito in due spazi fisici pur così vicini non è facile nemmeno per i famosi premi Nobel dell’Università che si trova a Cambridge. La spiegazione è semplice: soprattutto negli Stati Uniti quella delle start-up è una contro-cultura più che una cultura. È espressione moderna di quegli animal spirits brillantemente isolati nel laboratorio delle idee di Adam Smith più che lezione manageriale fatta dalla Mckinsey di turno. Harvard ci prova. Chapeau. Ma il leone imbrigliato diventa triste animale da zoo. E la formula magica della prossima rivoluzione digitale cercherà qualche nuovo spazio entropico dove potersi esprimere al meglio.

S&P’S, RISCHIO DI DEFAULT A CATENA–
Più di 40 società europee monitorate dalle agenzie di rating potrebbero andare in default nel 2013: è l’allarme lanciato ieri da Standard & Poor’s. Secondo l’agenzia di rating «le imprese del Vecchio Continente hanno finora, almeno in apparenza, affrontato la crisi abbastanza bene», ma il 2013 potrebbe andare peggio. Quali sono le preoccupazioni di Standard & Poor’s a proposito della qualità del credito? «Pressione sui ricavi, diminuzione dei benefici sul fronte dei programmi di efficienza dei costi, un’efficacia minore delle politiche dei prezzi in un ambiente più competitivo, la sovracapacità strutturale in certe industrie e le pressioni dei rating agli Stati». A questo scenario si sommano le preoccupazioni di un’altra agenzia, Moody’s, che ha parlato di «un rischio di contagio economico da Sud a Nord Europa in aumento».