Chiara Mariani, Sette 7/12/2012, 7 dicembre 2012
CON LE SUE 1.246 LETTERE SVETA SALVÒ LEV DAL GULAG
Il 1917 non è solo la data della Rivoluzione di Ottobre. È anche l’anno di nascita di Lev (il leone) e Sveta (la luce), uno dei momenti più infausti per venire al mondo in Russia. Qualcosa di più dell’amore di Orlando Figes racconta la storia della loro straordinaria passione attraverso 1.246 lettere che i due si scambiano dal 1946 al 1954 tra il gulag di Pechora, a pochi chilometri dal Circolo Polare Artico dove Lev è rinchiuso, e Mosca dove abita Sveta: due epistole la settimana. I due giovani si incontrano nella capitale, nelle aule del prestigioso Istituto di fisica Lebedev. Tra loro vi è uno sconosciuto Andrej Sacharov. Si nutrono delle note del violino di David Ojstrakh, dei versi dell’Achmatova, Blok, Pushkin e Majakovsky, sono fiduciosi nel futuro radioso del paradiso del lavoratore dove l’ottimismo è d’obbligo e la parola depressione è bandita. Sono gli anni delle prime ondate del Terrore staliniano che culmineranno tra il 1937 e il 1938, quando un milione e trecentomila nemici del popolo sono arrestati e mezzo milione fucilati, tra questi militari d’alto rango, insegnanti, sacerdoti. Troppi per poter affrontare con fiducia di lì a poco una guerra che mobiliterà tutti e costerà all’Unione Sovietica 27 milioni di cittadini.
Il mite e poetico Lev Mischenko, come la bella e brillante Svetlana Ivanova, è un membro del Komsomol, la gioventù comunista, crede nell’idea socialista del progresso attraverso la scienza e la tecnologia e ritiene suo dovere servire la Patria minacciata dall’invasore. Imbracciate le armi è fatto prigioniero dai tedeschi ed è trasferito a Buchenwald, dove si rifiuta di collaborare con il nemico. Dopo quattro anni di prigionia, scappa e finisce nelle mani degli americani che gli offrono di impiegare il suo talento negli Stati Uniti, come fisico nucleare. Rifiuta, l’amore lo richiama in patria.
In Siberia. La fine del conflitto mondiale per Lev segna però l’inizio di un nuovo incubo. Le autorità sovietiche lo condannano a dieci anni di gulag con la falsa accusa di aver collaborato con il nemico durante la prigionia. Da adesso in poi lo distingue un numero: l’articolo 58-1(b), riservato ai soldati traditori della patria, l’imputazione più ingiuriosa che priva il condannato del rispetto e della fiducia altrui persino a fine pena. Il suo animo è troppo delicato, non se la sente di turbare Sveta, che non vede e di cui non sa niente da cinque anni, con notizie sulla sua sorte.
Lui non ha fratelli o genitori con cui comunicare, è orfano dall’età di tre anni, da quando in ospedale vede un’infermiera portare tra le mani un oggetto rosso palpitante: il cuore della mamma che è appena stata fucilata. Il papà fa la stessa fine condivisa da molti altri “borghesi”. Lev preferisce così scrivere a una zia. Quest’ultima si affretta a fare quello che farebbe ogni donna: se ne infischia dell’eventuale turbamento e informa la ragazza degli ultimi eventi. Nasce una corrispondenza preziosa, uno squarcio nell’anima di due innamorati che per troppo pudore non menzionano quasi mai la parola amore. Dirà lei in un commiato: “Il fatto è che voglio dirti soltanto tre parole: due sono pronomi e una è un verbo”. Quando Sveta lo interroga sulle sue necessità urgenti, se abbia bisogno di medicine, vestiti, cibo, carta o penna, Lev risponde laconico, certo di chiedere l’indispensabile, unica fonte di sostentamento e di speranza: “Non mandarmi nulla, soltanto lettere, lettere, lettere!”.
In apparenza la scrittura di lei è priva di sfumature romantiche. Appartiene all’intelligenzia tecnica sovietica oppressa dal Diamat, il materialismo dialettico, il fondamento “scientifico” del marxismo-leninismo che denuncia persino i fisici sedotti dalla teoria della relatività e la fisica quantistica perché idealiste e incompatibili con il sistema. Per superare il condizionamento culturale si affida così ai versi dei poeti russi, alla propria tenacia pratica e al proprio coraggio: scrive, scrive, scrive fino a quando trova il modo, illegale ed estremamente pericoloso, di raggiungerlo. Anche solo per pochi momenti. Ci saranno cinque incontri in quasi nove anni. Ogni volta percorre tra andata e ritorno 4.340 chilometri. Lo stile di Lev ricorda la scrittura del XIX secolo con slanci lirici sorprendenti, soprattutto perché pronunciati da un uomo condannato ingiustamente alle crudeltà del gulag in una zona immersa nell’inverno nove mesi l’anno: “Tutto quello che è rimasto è il cielo… le stelle sono emerse dalla loro ibernazione estiva (la fine delle notti bianche, ndr) e anche di questo sono grato”.
Il sistema costruito da Stalin. Il libro di Figes non ha solo il merito di riportare alla luce un carteggio, contrabbandato pezzo per pezzo dalle guardie e dai lavoratori volontari del campo di lavoro, che rivela di quali vette sublimi sia capace l’animo umano. Lo scambio epistolare di questi due giovani brillanti racconta senza sconti la realtà ai tempi di Stalin, la cui struttura si basava sulla graduale fusione tra gulag ed economia civile, un’economia di schiavi che permetteva la creazione a basso costo delle grandi opere divenute il simbolo dei risultati postbellici dell’Unione Sovietica. Nelle sue lettere Lev racconta gli sforzi per attivare con l’ingegno, a discapito dei pochi mezzi, la centrale in cui lavora, descrive i caratteri dei suoi amici, le piccole gentilezze che rendono la vita possibile tra burocrati crudeli e incompetenti, le meschinità che conducono al crimine. Sopporta le atrocità grazie alle missive di lei perché ogni sua parola è una resurrezione e le sue lettere “sono tutta la mia biblioteca”. Sveta ragguaglia sulla nuova vita nella capitale, “Una buona metà della popolazione adesso vive in condizioni peggiori di quando eravamo in guerra”, e sui cambiamenti nelle abitudini. Sappiamo come si veste (“Il cappotto estivo verde è ancora vivo”), come si reca all’Istituto di ricerche, quali sono i rapporti tra le persone, cosa può dire e cosa deve celare.
Neppure l’amnistia concessa dopo la morte di Stalin nel 1953, che liberò ladri e assassini, accorcia l’agonia di Lev, liberato solo alla fine del 1954 a fine pena. Il Leone e la Luce si sposano nel 1955, l’anno in cui nasce Anastassja (la Resurrezione). Più tardi nascerà anche Nikita, forse in omaggio a quel Kruschev che nel 1956 aveva denunciato Stalin e il suo culto della personalità, cancellando con un colpo di spugna l’onta di un tradimento mai commesso che pesava sul cuore di Lev, e che anche da uomo libero condizionava pesantemente tutta la sua vita. Figes va a trovare la coppia a Mosca nel 2008, un anno dopo aver scovato incidentalmente il carteggio quasi negletto, l’anno in cui morirà Lev. Sveta lo segue nel 2010. Riposano l’uno accanto all’altra.
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