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 2012  dicembre 07 Venerdì calendario

DARK LADY A MIA INSAPUTA

[Il film scandalo. Le scene di sesso. I rapporti coi registi. Il teatro con Travaglio. E il sogno segreto: "Girare una commedia, magari con Verdone". L’attrice si racconta] –
Inutile girarci intorno. Parliamone subito: dei fischi, del sesso, del film dello scandalo. Vuole un tè? Bancha va bene?». Qualunque cosa si pensi di lei, di certo Isabella Ferrari sa mettere a suo agio gli ospiti. Persino se sono giornalisti. O giornaliste che hanno pronti tutti i condizionali per porgere con grazia le inevitabili domande. Invece è lei che rapida, sgombra il campo. Via i preamboli. "E la chiamano estate" film di scambisti, orge e nudi integrali, eros e thanathos, il premio al Festival di Roma sommerso dai fischi, la rabbia del regista Paolo Franchi, la cruda ginecologica inquadratura iniziale che cita "L’origine du monde" di Gustave Courbet (pochi lo hanno capito però) son macigni troppo grossi per non pesare sull’intervista. Nata in realtà per fotografare un’attrice che si ribella alle ruolizzazioni e cambia pelle ogni volta che può. Nasce come sexy girl delle commedie Vanzina, conquista la tv nell’uniforme del commissario Scalise e poi raggiunta la maturità esplode come musa inquietante del cinema d’autore. Figura carismatica, portatrice di una sensualità misteriosa, cupa, estrema. Ma ha ragione lei. Nella sua casa accogliente, vissuta, piena di libri e opere scelte bene, sotto un suo gigantesco ritratto firmato Francesco Clemente («È un mio carissimo amico da sempre») è meglio cominciare da qui: sesso e fischi.
Carattere forte signora Ferrari. È salita sul palco dell’Auditorium sommersa dai fischi e dagli insulti, e ha ammutolito la platea dedicando il premio ai suoi figli «che hanno una madre come questa». Si aspettava di dover affrontare tanta rabbia?
«Non sono forte. Io ho un modo naïf di stare al mondo e non immaginavo proprio questa reazione. In quel momento ero stupefatta, avevo perso le parole. Ho avuto persino il dubbio di dover rifiutare il premio, c’è stato un attimo di totale confusione. Poi ho reagito. Mi sono detta: "È così perché sei donna e hai messo l’osceno in scena"».
Fa tanta paura il sesso femminile?
«Certo, disturba e scandalizza molto di più di quello maschile. Scatena fobia forse perché veniamo tutti da lì. E la fobia la posso capire. Ma la derisione no. E non capisco neanche questo accanimento mediatico della stampa italiana. Contro il film e contro il Festival di Roma. Uniti dal destino di essere più apprezzati all’estero che in patria. La conferenza stampa è stata una sofferenza, volevano farmi dire per forza che avevo provato vergogna e imbarazzo. Ma io non ho sentito imbarazzo. Ero calma, non mi ha dato pensiero. Lì non c’era il mio corpo ma il corpo dell’attore».
In un’intervista durante le riprese lei ha definito il film di Franchi «una storia d’amore romantica e complicata». Era questa la sua percezione?
«Detta così sembra Jane Austen! E poi in sala invece è successo il putiferio. Comunque la scena incriminata è venuta fuori quasi spontaneamente a metà delle riprese. Quando si gira un film ci si immerge in un’altra realtà. Sei lontana da casa, dentro la storia, tutte le sere a parlare con il regista, un’ora di yoga prima di salire sul set. E c’era questa ritorno continuo di immagini simboliche: il mare, l’acqua. Quella scena era per noi l’immagine di un ritorno nel grembo materno. Un’innocenza che andava oltre il sesso. È stata una cosa naturale».
È sempre così generosa con la sua professione?
«Non usi questa parola. Io non sono una professionista. Non ho mai studiato a tavolino la mia carriera, applicato una strategia, scelto i ruoli con l’agente e l’ufficio stampa. Per questo nessun agente resta a lungo accanto a me. Sono uno spirito libero, attrice per caso se vuole. Scelgo d’istinto e mi affido completamente al regista che scelgo. Non mi oppongo, non resisto, sono carta bianca nelle loro mani. Un regista francese mi chiese di buttarmi in una pozzanghera di Boulevard Haussmann e un attimo dopo mi rotolavo nel fango e nell’acqua fredda. Se un progetto mi piace accetto tutti i rischi, pur sapendo che i film non vengono bene solo perché ti sei abbandonata alla passione».
Che lei non si risparmi, ce ne siamo accorti. Il sesso scatenato con Nanni Moretti in "Caos calmo", altra pietra dello scandalo. O, cosa ancor più eroica, i dieci chili in più che le ha chiesto Ozpetek per "Un giorno perfetto".
«In "Caos calmo" la vera pietra dello scandalo fu vedere Nanni Moretti che fa sesso, non io. E Ferzan mi ha fatto soffrire, perché era indeciso con un’altra attrice brava e famosa. Per convincerlo io che son sempre troppo magra sono andata da un nutrizionista. Ho amato tanto quel film e speravo davvero di vincere la Coppa Volpi a Venezia. Con un presidente della giuria come Wim Wenders quel premio per me sarebbe stato un punto di arrivo. Ma non l’ho vinto io e sono rimasta delusa».
Negli ultimi anni lei è diventata una musa inquietante del cinema d’autore, portatrice di una sensualità cupa, protagonista di storie dark. Un’icona molto più nordica che mediterranea
«Non è colpa mia. È colpa del taglio degli occhi. Lo dice sempre Ettore Scola:"Tu hai sbagliato epoca, sei un tipo da Finzi Contini". Sarà per questo che mi propongono sempre ruoli tragici e sensuali. Mai una di quelle buone e ben scritte commedie tra le mura domestiche che non disturbano nessuno. Ormai lo so: il mio sguardo non è funzionale al film family. E poi il difetto del cinema italiano è quello di ruolizzare sempre gli attori».
Vuol dire che a Silvio Orlando è proposto sempre un ruolo da Silvio Orlando e ad Alba Rohrwacher sempre una Rohrwacher?
«Voglio dire che mentre in Francia una Isabelle Huppert passa dal tragico al comico, da un film di Haneke alla commediaccia, qui devi lottare con le unghie e con i denti per strappare i panni che ti hanno cucito addosso. Io l’ho fatto. Ho lasciato i teen-movie per i film da articolo 28 (la vecchia legge sugli aiuti di Stato alle opere d’autore, ndr.), ho fatto tv indossando la divisa di Scalise in "Distretto di polizia" e raggiungendo i vertici della popolarità, tanto che non potevo neanche attraversare la strada senza essere riconosciuta. Nonostante il successo sono scappata di nuovo per un cinema d’autore che non dava soldi ma premi. Ho fatto in questi ultimi tempi tanto di quel teatro da contare quattrocento serate in due anni. Compreso "Anestesia totale", quel teatro politico che tutti mi sconsigliavano».
Chi le ha sconsigliato di fare teatro con Marco Travaglio? E perché?
«Tutti negativi: dal mio agente al mio ufficio stampa. Dicevano che per un attore schierarsi politicamente era pericoloso. Significava alienarsi per sempre una parte della stampa. Ma io, che appunto non sono una professionista, prima che attore mi sento un cittadino. E in quell’Italia era giusto sostenere un progetto che più che politico avrei definito teatro civile. In America Sean Penn lo fa, Susan Sarandon lo fa...».
È stata un’esperienza importante?
«Più che per la lettura dei testi, per la presenza del pubblico. Migliaia di persone, molti i giovani che prendevano d’assalto il botteghino e gettavano in sala la loro energia. Un’esperienza effervescente. Ma per me un’esperienza conclusa».
E la prossima? Quale nuova pelle di serpente vorrebbe indossare?
«Vorrei fare la commedia di qualità. Vorrei un ruolo da attrice comica, per farvi finalmente ridere. Vorrei un film con Carlo Verdone».