Marco Damilano, L’Espresso 7/12/2012, 7 dicembre 2012
SQUADRONE BERSANI ROMANO PRODI
[Dopo il trionfo alle primarie, il leader Pd si prepara a passare all’incasso. E per Quirinale, governo e partito si scaldano le truppe del segretario. Un mix di vecchie glorie, giovani virgulti e usato sicuro] –
Dopo le primarie avanza una creatura mitologica metà persona e metà metafora. Post-comunista e cattolico, con l’accento emiliano, ma con i piedi piantati nel Sud, dove Pier Luigi Bersani ha fatto il pieno. È l’Homo Bersanianus, il volto del Pd uscito vincente contro Matteo Renzi. E Bersani già prepara il suo Squadrone, al governo e al partito, un mix di vecchio (Massimo D’Alema agli Esteri, Walter Veltroni alla Cultura), di usato sicuro e di nuovo. Ecco i nomi di candidati e aspiranti. Con un punto interrogativo: ma Monti ci sarà?
QUIRINALE
Romano Prodi. Il Professore, ufficialmente inviato dell’Onu in Sahel, ha rotto il lungo silenzio sulla politica italiana per votare alle primarie. Per dire che «Renzi ha un futuro», che Bersani «è fortissimo» e che «i veri sconfitti» sono quelli che non volevano le primarie nel Pd, e non c’è bisogno di aggiungere altro: Tutankamon Prodi non dimentica e non perdona. Con il centrosinistra che vede la maggioranza, salgono le sue quotazioni per il Quirinale. Con Bersani il rapporto è ottimo, l’unico ministro a restargli vicino nel momento amaro della caduta. Nel 2013 si può ricostruire un tandem emiliano.
GOVERNO
Vasco Errani. Il presidente dell’Emilia è in testa alla lista di un ipotetico governo Bersani, l’ambasciatore del segretario (con Berlusconi quando governava, con Monti, con Renzi), l’amico più fidato, il suo Gianni Letta. Potrebbe essere il sottosegretario alla presidenza o andare al Viminale.
Fabrizio Barca. Il ministro di Monti più apprezzato da Bersani. Radici familiari nel Pci, formazione tecnocratica, la scorsa settimana ha teorizzato controcorrente che in Italia non si fanno poche riforme: «Il problema è che se ne fanno troppe. Da vent’anni il Paese vive in uno stato di perenne riforma senza visione». C’è chi lo vorrebbe candidare al Campidoglio ma per lui si prepara il ministero dello Sviluppo, o addirittura la poltronissima dell’Economia.
Stefano Fassina. Il responsabile Economia, bestia nera dei liberal Pd alla Pietro Ichino e dei liberisti alla Francesco Giavazzi, convinto della necessità di «rottamare l’agenda Monti». Potrebbe andare al Welfare e Lavoro, al posto della detestata Elsa Fornero.
Miguel Gotor. Romano con padre spagnolo, storico di santi e eretici cinquecenteschi, esegeta delle lettere di Moro e inventore del bersanese come categoria di studio ha guidato il comitato Bersani for premier. Potrebbe diventare ministro dell’Istruzione.
Guglielmo Epifani. L’ex leader della Cgil è stato tra i grandi elettori di Bersani, il tramite con l’organizzazione guidata da Susanna Camusso. Il seggio in Parlamento è sicuro, il posto nel governo possibile.
Emanuele Fiano. Milanese, esponente della comunità ebraica, è il responsabile sicurezza, cura i rapporti con i servizi.
Andrea Orlando. Spezzino, gran navigatore di correnti e di segreterie, da Fassino a Veltroni a Bersani, è il responsabile Giustizia, aspira al ministero di via Arenula.
Francesco Boccia. Combattivo deputato pugliese, area Enrico Letta, spesso in polemica con i giovani turchi (Fassina-Orfini), coltiva stretti legami con imprese, banche e finanza. In corsa per un dicastero economico.
Matteo Colaninno. L’ex presidente dei giovani industriali nel governo ombra di Veltroni fu ministro dello Sviluppo economico, quando il padre guidò la cordata della nuova Alitalia. Conflitto di interessi?
Vincenzo De Luca. Il sindaco di Salerno ha consegnato a Bersani un plebiscito nella sua città, nonostante le critiche feroci contro i giovani di largo del Nazareno: «Fallofori in processione». Potrebbe essere richiamato a Roma come esponente del Sud bersaniano in un ministero di peso: le Infrastrutture.
Paola De Micheli. Ruspante deputata piacentina, come il segretario, da lei difeso con grinta in tv. Qualcuno l’ha definita «l’Amazzone di Bersani». Potrebbe essere ricompensata con un posto di governo.
Laura Puppato. La sfidante alle primarie, più contro Renzi che contro Bersani. Sarà ricompensata: ministro dell’Ambiente.
PARTITO
Matteo Orfini. Il leader dei giovani turchi, nato come braccio destro di D’Alema e cresciuto come aspirante rottamatore da sinistra: «Fuori dal governo chi ha già fatto il ministro negli anni ’90 con Prodi», compreso il suo ex capo, diciamo. Lui, l’altro Matteo, prepara la scalata ai vertici del partito.
Roberto Speranza. Lucano, 33 anni, specializzazione alla London School, si definisce «un meticcio bersaniano». Freddo e meticoloso, ha conquistato a trent’anni la segreteria regionale della Basilicata, sconfiggendo la vecchia guardia. Ora è pronto per il palcoscenico nazionale.
Alessandra Moretti. Vice-sindaco di Vicenza, la portavoce di Bersani durante la campagna per le primarie, onnipresente sui media, con il rischio di strafare.
Tommaso Giuntella. Romano, 28 anni, è stato trattato dal vescovo Rino Fisichella come un nostalgico del Pci per aver alzato il pugno chiuso la sera della vittoria di Bersani. Ma il monsignore è fuori strada: Giuntella è cattolico e scout, porta il nome di san Tommaso Moro ed è appassionato di Chesterton, lettura tramandata dal papà Paolo, giornalista del Tg1 prematuramente scomparso.
Nico Stumpo. Massiccio calabrese, l’uomo dei numeri del Botteghino, ha combattuto con i renziani sulle regole e sulle cifre, scatenando l’ironia di Twitter. Per gli estimatori è il Viminale del Pd, per i detrattori è l’apparato fatto persona: Stump-truppen.
Alfredo D’Attorre. Salernitano, laureato in filosofia alla Normale di Pisa, capelli alla Gramsci, si divide tra i saggi sulle «apologie neoliberali della globalizzazione» e lo staff del segretario. Sua la stesura della Carta d’Intenti del Pci, suo il plebiscito di Bersani in Calabria, dove è commissario del Pd.
Miro Fiammenghi. Consigliere regionale dell’Emilia Romagna eletto a Ravenna, amico personale di Bersani, con Errani e Maurizio Migliavacca compone il Tortellino magico, la guardia scelta del leader.
Stefano Bonaccini. Segretario regionale dell’Emilia, all’assemblea del Pd ha difeso la scelta delle primarie indicando la linea, la strada della personalizzazione della sfida, «Pier Luigi deve fare come Hollande. Ha blindato la regione rossa per eccellenza dall’attacco di Renzi, federazione per federazione. Ora potrebbe prendere il posto di Errani alla presidenza.
Maurizio Martina. Segretario del Pd lombardo, 30 anni, nel giro di dodici mesi ha espugnato Palazzo Marino a Milano con Giuliano Pisapia, si è liberato dalla tutela di Filippo Penati, causa guai giudiziari, e ha portato Bersani a vincere in Lombardia, seguito perfino dall’ex rottamatore Pippo Civati. Ora punta al risultato storico: trascinare il centrosinistra alla conquista del Pirellone con Umberto Ambrosoli.
Enrico Gasbarra. A Roma lo chiamano "Erico", in modo sornione, com’è lui. Democristiano formato alla scuola di Vittorio Sbardella, oggi è il segretario del Lazio che ha votato Bersani. In apparenza pigro, in realtà spietato, in corsa per il Campidoglio.
Roberto Gualtieri. Storico dell’Istituto Gramsci, europarlamentare, rappresentante del gruppo socialista nella squadra di negoziatori del Parlamento europeo sull’Unione monetaria, è uno degli ideologi della svolta a sinistra del Pd di Bersani: «Dobbiamo superare la sindrome di Eltsin, la metamorfosi degli ex comunisti in tifosi del mercato».
Antonio Misiani. Deputato di Bergamo, 44 anni, laurea alla Bocconi, è il tesoriere del Pd, il custode delle finanze del partito, erede del mitico Ugo Sposetti.
Aurelio Mancuso. Ex presidente dell’Arcigay, in estate durante un’infuocata assemblea aveva consegnato a Bersani la tessera del Pd per protestare contro il documento sulle unioni civili considerato timido. Poi si è riscoperto paladino del bersanismo.
Francesca Puglisi. Marchigiana, 42 anni, è la responsabile Scuola del partito. Esordio politico a 25 anni, quando fu chiamata a organizzare i giovani dell’Ulivo di Prodi.
Sandra Zampa. Giornalista, deputata, portavoce di Prodi, ha guidato i comitati Bersani a Bologna, la città del Professore, dove il segretario al ballottaggio è volato al 65 per cento. Capofila con Giulio Santagata dei prodiani per Bersani, merce pregiata negli scaffali del supermarket democratico.
Fausto Raciti. Leader dei giovani democratici. piuttosto defilato nella campagna per le primarie, ha portato il suo contributo organizzando un’assemblea romana con D’Alema, il suo idolo.
COMUNICAZIONE
Stefano Di Traglia. Romano, storico portavoce di Bersani, è lo stratega della strategia comunicativa del segretario: trasformare la mancanza di carisma in una virtù. I manifesti con le maniche arrotolate, le foto alla pompa di benzina di Bettola, la birra solitaria. Mai normalità fu più ostentata, studiata, elaborata. Nei minimi dettagli. Farà il Bonaiuti di Bersani, accanto a lui a Palazzo Chigi.
Chiara Geloni. Toscana trapiantata a Roma, papà dirigente democristiano in terra rossa, nell’ufficio stampa di Dario Franceschini all’epoca del Ppi e della Margherita, oggi dirige l’emittente del partito Youdem. Un po’ Rosa Luxemburg, un po’ Giovanna D’Arco, è l’infaticabile sentinella del bersanismo, in battaglia permanente via Twitter con i critici (da sferzare), i tiepidi (da stimolare), i deboli di spirito (da rincuorare), gli infedeli (da convertire).
Claudio Sardo. Giornalista, cattolico, direttore dell’"Unità" dal 2010, ha riportato il quotidiano all’ortodossia di partito dopo gli anni scapigliati di Furio Colombo, Antonio Padellaro e Concita De Gregorio, anticipa spesso le svolte del leader. Suoi gli attacchi più duri contro Renzi, dalla polemica sulle Cayman (titolo: "Le primarie vanno in paradiso. Fiscale") all’aggettivo «fascistoide» scaraventato contro il sindaco di Firenze dall’editorialista Michele Prospero.
Simona Ercolani. Regista, moglie dell’ex spin doctor di D’Alema Fabrizio Rondolino, ha collaborato alla campagna di Bersani. Tornando sul luogo del delitto: aveva curato negli anni ’90 il filmato cult di D’Alema che cucina il risotto, oggi ha assistito alle lacrime di Bersani. Passano gli anni, cambiano i leader ma non la location: il salotto di Vespa.