Camilla Conti e Luca Piana, L’Espresso 7/12/2012, 7 dicembre 2012
LA LISTA SEGRETA DEL MONTE [
L’elenco dei pagamenti per acquistare la banca padovana rivela un costo di oltre 17 miliardi. Troppo. E la Procura indaga] –
Un fiume di denaro, 17 miliardi di euro, che nell’arco di un anno parte da Siena per raggiungere alcune capitali europee: Amsterdam, Madrid, Londra. È questo uno degli aspetti più intricati dell’acquisizione della Banca Antonveneta da parte del Monte dei Paschi di Siena. Un’operazione formalizzata nel 2008 ma che, di recente, è finita al centro di un’inchiesta della magistratura, con tanto di perquisizioni a tappeto nella città toscana e diverse iscrizioni nel registro degli indagati. Un’acquisizione, quella di Antonveneta, che stando ai dati ufficiali è costata all’istituto senese 9 miliardi e 230 milioni di euro, una cifra già allora giudicata eccessiva da diversi osservatori. Ma che, in realtà, avrebbe costretto il Monte dei Paschi a impegnare risorse ancora più elevate.
Secondo quanto ha potuto ricostruire "l’Espresso", sugli otto bonifici miliardari partiti da Siena tra il 2008 e il 2009 per rispettare tutti gli accordi con il venditore dell’Antonveneta, il gruppo spagnolo Banco Santander, si stanno interrogando in queste settimane gli investigatori guidati dal pubblico ministero Antonino Nastasi. L’ipotesi di lavoro è che l’impegno finanziario necessario per conquistare lo storico istituto padovano abbia avuto un impatto sul patrimonio del Monte superiore a quanto dichiarato nelle previsioni iniziali. Una sottovalutazione che, se intenzionale, sarebbe servita per far apparire come economicamente sostenibile un’acquisizione che i bilanci della banca non avrebbero, in realtà, consentito.
La sentenza sul prezzo di 9,23 miliardi pagato dal Monte l’ha pronunciata di recente il suo nuovo presidente, Alessandro Profumo, arrivato in aprile per cercare di rimettere in carreggiata l’istituto senese. Quando era il numero uno di Unicredit, ha detto Profumo, Antonveneta gli venne offerta «a un prezzo più basso. Non la comprai perché il costo mi sembrava già troppo alto». Se può essere facile parlare oggi, con la profonda crisi del sistema finanziario che si è verificata, va detto però che già al momento dell’annuncio le critiche al blitz voluto dall’allora presidente del Monte, Giuseppe Mussari, non erano mancate.
Per ricostruire i fatti, occorre però ripartire dall’8 novembre 2007, quando viene svelata l’operazione che il Monte e il Santander hanno portato a termine con una trattativa lampo, appena due settimane. Uno scarno comunicato dà conto dei tre aspetti dell’acquisizione: il prezzo; l’obiettivo di dar vita alla terza banca italiana; la necessità di reperire i quattrini per il pagamento (che sarà interamente in contanti) attraverso la cessione di attività non strategiche, dei prestiti bancari e un aumento di capitale pari alla metà dei 9 miliardi che servono.
Fin dall’inizio il piano non convince il mercato. Il titolo del Monte crolla in Borsa e diversi analisti picchiano duro. «The game is not worth the candle», ovvero il gioco non vale la candela, sostiene la banca d’affari Kepler, che ricorda come il Santander avesse acquisito l’Antonveneta appena pochi mesi prima per soli 6,6 miliardi. E insinua il dubbio di un possibile stop all’operazione da parte della Banca d’Italia, l’autorità che vigila sul sistema creditizio. Anche Banca Imi giudica il prezzo troppo elevato e sottolinea come il Monte rischi di violare le regole europee sugli obblighi patrimoniali, che costringono le banche a preservare un certo quantitativo di risorse a disposizione per far fronte agli impegni che hanno con i propri clienti.
Uno dei problemi dell’operazione emerge nell’aprile 2008 quando il Monte lancia un aumento di capitale da 4,9 miliardi, necessari per reperire parte dei capitali da girare al Santander. Il documento informa che l’Antonveneta può svolgere la propria attività bancaria grazie a un cuscinetto di liquidità di 7,9 miliardi di euro che le sono stati prestati dalla capogruppo Abn Amro (un istituto olandese che solo pochi mesi prima era stato scalato dal Santander stesso). Il prospetto spiega che il Monte deve restituire quei finanziamenti e che, bontà sua, il Santander è disponibile a concedere ai senesi un anno di tempo. Due mesi più tardi, quando il passaggio delle azioni Antonveneta dall’Abn al Monte è ormai avvenuto, una sorpresa: nel documento informativo sull’acquisizione pubblicato il 16 giugno, l’istituto toscano rende noto che i prestiti da restituire sono 7,5 miliardi, 400 milioni in meno di quanto dichiarato in aprile. E che il Santander si è detto disponibile a finanziare parzialmente la banca toscana con un’apposita linea di credito, fino a 5 miliardi di euro. Da notare un passaggio dello stesso documento del 16 giugno: il fatto che i debiti della banca padovana debbano essere rimborsati dal Monte, che viene dunque costretto a un ulteriore e pressante impegno di capitale, «non rientra nelle condizioni previste dal contratto di acquisizione».
Su questa complessa transazione sta appunto indagando la procura di Siena, che ha passato al setaccio archivi e computer del Monte, le sedi della Provincia e del Comune, le abitazioni private di Mussari e di Gabriello Mancini, presidente della Fondazione Mps, principale azionista della banca e crocevia dei poteri politici locali che comandano sull’istituto.
Stando a fonti de "l’Espresso", nel mirino degli investigatori sarebbe finita in particolare una lista di 8 bonifici - che a Siena circola da qualche settimana fra i dipendenti della banca - partiti dal Monte in direzione di diverse entità del gruppo spagnolo. Il 30 maggio 2008, il giorno in cui sulla vendita viene messo il sigillo definitivo, viene effettuato un primo pagamento in direzione della Abn Amro di Amsterdam per un importo di 9 miliardi e 267 milioni. Dettaglio curioso: l’importo è superiore di 37 milioni rispetto ai 9 miliardi e 230 milioni che il Monte ha più volte detto di aver pagato come cifra definitiva (al prezzo base erano stati infatti aggiunti 230 milioni di interessi per il periodo trascorso tra la firma del contratto el’effettivo pagamento, per il quale occorreva attendere l’ok delle autorità di vigilanza). Il motivo dell’apparente discrepanza è però un mistero: interpellato in merito, il Monte ha preferito infatti non rispondere a questa e altre domande.
Lo stesso giorno, dalla banca senese parte anche il primo di una serie di sette bonifici che, nel giro di undici mesi, finiscono in parte alla sede di Madrid del Santander, in parte a quella di Londra della Abbey National Treasury Service, una controllata del gruppo spagnolo. I pagamenti possono essere divisi in due categorie. Quattro sono di importo elevato, per un totale di 7,5 miliardi che sembra coincidere con i prestiti che il Monte dice di essersi impegnato a restituire al venditore di Antonveneta. Gli altri tre, invece, riguardano cifre più piccole, per un totale complessivo di 240 milioni. Perché, di tutti questi quattrini, la considerevole somma di 2 miliardi e 623 milioni sia finita alla Abbey - che svolge servizi di tesoreria per controparti anche esterne - non è dato saperlo. Anche il portavoce del Santander ha infatti declinato ogni commento.
Al di là della Babele di numeri, resta un fatto. L’impegno che il Monte ha dovuto sostenere per prendere l’Antonveneta è stato massiccio. E l’operazione si è rivelata un boomerang. Come ha ricordato nell’ultima aassemblea l’ex presidente del collegio sindacale, Tommaso Di Tanno, la banca padovana al momento dell’acquisizione «aveva un valore patrimoniale di 2,3 miliardi», molto lontano dal prezzo pagato. Il Monte l’ha acquistata a scatola chiusa, senza fare una verifica preventiva dei conti e senza clausole per ridiscutere il prezzo. Per sostenere l’esborso si è indebitato, ha venduto diverse attività, chiesto più volte aiuto agli azionisti. E oggi l’Antonveneta, tra cessioni di sportelli e tagli agli organici, si appresta a sparire come entità autonoma.