Alberto D’argenzio, L’Espresso 7/12/2012, 7 dicembre 2012
L’EUROPA PAGALA TU CHI PRENDE E CHI DÀ LONDRA E NOI [
L’egoismo dei più ricchi. Le richieste dei più poveri. Nord contro Sud. A Bruxelles si litiga. Perché? In sette domande e risposte, la guerra per il budget] –
Tra litigi, divisioni profonde, minacce di veto, psicodrammi e negoziati sotto banco, l’assemblea condominiale dell’ Unione europea va in scena in queste settimane, puntuale come ogni sette anni e con un rituale ormai consolidato, ma questa volta con un clima ancor più teso: gli animi sono esacerbati dalla crisi. «Tutti vogliono tagliare, ma nessuno a casa propria», riassume una fonte comunitaria. All’ordine del giorno il bilancio comunitario 2014-2020: la ricarica della carta di credito della Ue, il limite massimo di spesa per le istituzioni e per i suoi diversi programmi, dall’Erasmus allo sviluppo rurale.
Ai piani superiori, attico e superattico, dettano legge i condomini ricchi - Gran Bretagna, Svezia, Olanda e Danimarca ed anche, seppur su posizioni meno rigide, Austria e Finlandia - quelli a cui in questi tempi di vacche magre non va assolutamente di spendere, in fondi regionali e di coesione, per migliorare gli appartamenti di sotto, quelli dell’est e sud Europa, che invece reclamano risorse per ristrutturare. I ricchi se ne infischiano o quasi anche dell’orto di casa, a cui guardano invece Francia ed Italia, molto attente all’agricoltura. Con l’Italia in una posizione doppia: divisa in due tra Nord e Mezzogiorno, tra voglia di tagli e necessità di fondi (anche se poi li usa pochino: capacità di assorbimento al 20 per cento). E quindi c’è la Germania, che sta alla finestra: Berlino vuole tagliare, ma non tanto quanto Londra e mal che vada si gode i fondi per le regioni dell’Est. Una posizione comoda.
1. dove e come si taglia?
La Commissione aveva proposto un tetto di 1.047 miliardi di euro che può sembrare molto, ma è appena l’1,05 per cento del Pil comunitario. Due esercizi fa - quando il condominio era sensibilmente più piccolo e le competenze europee decisamente minori - eravamo all’1,24 per cento, nell’ultimo all’1,1 per cento. Per le banche, tanto per fare un esempio, abbiamo speso il 3 per cento in 3 anni. Sotto l’incalzare di David Cameron, che vuole mandare in bianco la Ue castrando di 200 miliardi il bilancio, il presidente del Consiglio Van Rompuy ha abbassato il tetto: 972 miliardi, 1,01 per cento del Pil. Sforbiciate decise soprattutto in agricoltura, meno 25 miliardi, e nei fondi regionali e di coesione, meno 29,49. Tutti assieme fanno il 75 per cento del bilancio Ue e assicurano coesione sociale e territoriale. Poi, nella notte tra il 22 e 23 novembre, a metà del vertice straordinario sul bilancio, Van Rompuy rimescola le carte: stesso tetto ma diversa ripartizione dei tagli. Aumenta la coesione, +10,65 miliardi, e l’agricoltura, +7,7 miliardi, e diminuiscono ricerca ed innovazione, meno 8 miliardi, e reti transeuropee, meno 5 miliardi. Per queste ultime 41 miliardi, comunque un più 140 per cento rispetto al bilancio precedente. Limature anche in politica estera, 5,5 miliardi, e per la giustizia e la sicurezza, meno 1,6 miliardi, mentre rimane invariata la spesa per la pubblica amministrazione. «Per trovare l’accordo si taglierà ancora», assicura una fonte diplomatica, «di 15, massimo 20 miliardi, arrivando, con interventi mirati in amministrazione (nel mirino stipendi e pensioni degli eurocrati, ndr.), politica estera e sicurezza a quota 955-960 miliardi». Guarda caso il tetto indicato dai tedeschi, una volta di più a vincere saranno loro, non necessariamente l’Europa.
2. Cosa si gioca l’Italia?
Bocche cucite al ministero per la Coesione territoriale, nessuna cifra sui fondi in meno che potrebbero andare al Mezzogiorno (da risolvere c’è anche la grana della nuova categoria delle "regioni in transizione" che tocca Abruzzo, Sardegna e probabilmente Molise), mentre in quello dell’Agricoltura c’è stata una mezza rivolta alla prima bozza di Van Rompuy, che tagliava, secondo stime peraltro non chiarissime, assai: meno 4,5 miliardi per l’Italia. La seconda bozza addolciva la pillola, ma di poco. «La proposta per l’agricoltura non ci soddisfa», ha detto Mario Monti. Nella Coesione va meglio grazie a un "bonus da un miliardo" concesso da Van Rompuy. «La preoccupazione per l’Italia», spiega una fonte diplomatica, «è avere la giusta parte della torta. Probabilmente basterà accontentarla con dei fondi ad hoc in agricoltura: l’Italia alla fine non sarà un grande problema anche perché è un Paese che pesa politicamente meno di quello che vale». Il solito problema di peso, che non si risolve ponendo un veto come pure è stato minacciato. Altro aspetto conflittuale per Roma è quello delle risorse. L’Italia nel 2011 ha avuto un saldo negativo di 5,93 miliardi di euro, diventando per la prima volta il primo contribuente netto rispetto al Pil, davanti alla Germania. Visto il passivo il premier Monti, pur non amando gli sconti, dice che potrebbe chiederne uno.
3. perché metà del budget finisce
in campagna? ha ancora un senso?
Seppure in costante diminuzione il bilancio comunitario finisce ancora al 40 per cento nella Pac, la Politica agricola comune (era il 70 per cento nel 1985), una somma che per Londra rappresenta la quintessenza di un modello di sviluppo antico, da potare. «Tutti i paesi occidentali spendono per la loro agricoltura», ribatte Paolo De Castro, Pd e presidente della Commissione agricoltura del Parlamento di Bruxelles. «Nella Ue, con 54 miliardi di euro l’anno, spendiamo meno della metà dei 114 miliardi degli Usa». Cibo e cifre: «L’agroalimentare è il primo settore manifatturiero e l’unico in cui adesso aumenta l’occupazione, gestisce metà del territorio europeo. Pesa per il 2 per cento sul Pil comunitario, ma con tutto il comparto arrivi al 16 per cento del Pil e al 7 per cento di occupazione». In questo contesto i tagli proposti da Van Rompuy, prima 25,5 miliardi, ora 17, rischiano di mandare all’aria sul nascere la nuova riforma della Pac che dovrebbe puntare sulla sostenibilità della produzione e sulla modernizzazione del settore in un contesto mondiale in profonda mutazione per l’arrivo a tavola dei famelici Brics.
4. perché si fa il bilancio per 7 anni?
Il bilancio comunitario pluriennale è nato, come quasi tutto nella Ue, da una crisi. Nella Cee fin dal 1957 si andava avanti con esercizi annuali fino a che tra gli anni ’70 e ’80 il meccanismo è andato in tilt: nel 1979, 1984, 1985 e 1987 Consiglio e Parlamento non riescono a mettersi d’accordo. A quel punto Jacques Delors lancia il primo bilancio pluriennale, dal 1988 al 1992, concentrato sulla costruzione del mercato interno. Dal 1993 si passa al bilancio settennale con chiare linee politiche: il primo votato alla costruzione dell’euro e alla coesione sociale, quello seguente all’allargamento e l’ultimo, almeno in teoria, pensato per la crescita e la competitività. Il prossimo? Dovrebbe servire ad uscire dalla crisi, completando il mercato interno e connettendo l’Europa. Se avrà risorse.
5. Perché francia e gran bretagna
litigano sempre?
Non siamo alla Guerra dei cent’anni, ma quando si parla di conti tra Londra e Parigi si accende il ring e la battaglia si fa dura: «È un negoziato più tosto di quello per l’Irlanda del Nord», disse Tony Blair nel 2005. Ventun anni prima a Fontainebleau Margaret Thatcher, sorseggiando uno scotch ed al grido di «I want my money back» (Voglio indietro i miei soldi), fece ingoiare a Mitterrand (e a Kohl) lo "sconto britannico", il diritto inalienabile a ricevere una compensazione al bilancio di Londra. Nel 2005 era il turno di Chirac e Blair, entrambi puntavano al cuore del nemico: il primo mettendo in discussione la ratio dello sconto britannico e il secondo la politica agricola comune. Fu pareggio in quell’occasione: un taglietto allo sconto e uno alla Pac. Ora è Cameron a voler far tirare la cinghia a tutti, proponendo tagli che Hollande non accetta. Ma questa volta, intorno a loro, il panorama è diverso. «La grande novità», sottolinea una fonte diplomatica, «è che manca una posizione comune franco-tedesca, che funzioni come forza centripeta». Il 9 novembre Merkel e Cameron si sono visti a Londra e da allora la tedesca è parsa più vicina al britannico che al francese. «Durante il vertice», spiega un’altra fonte, « c’è stato un tentativo di Merkel e Cameron di coinvolgere anche Hollande, dando a lui più fondi in agricoltura ma tagliando con decisione il bilancio. Hollande ha detto no». Ci riproveranno.
6. Ha senso fare sconti ai ricchi?
Nel 1984 a Fontainebleau la Thatcher, con un Paese alle spalle che non era ricco come ora e che non riceveva grosse somme da Bruxelles, ha strappato il diritto a vedersi restituiti due terzi di quanto versava, quota limata del 20 per cento nel 2005. Anche col taglio, l’anno scorso a Londra, assai meno povera di allora, sono tornati indietro 3,6 miliardi di euro. Con gli anni altri contribuenti netti - Germania, Austria, Svezia e Olanda - si sono visti assegnare degli sconti ed anche uno sconto sullo sconto, ossia una riduzione sul loro apporto allo sconto britannico, pagato ormai da Francia ed Italia, che della Gran Bretagna stanno peggio. Poi ci sono gli sconti mascherati, come quello di cui usufruiscono Belgio ed Olanda dal 2001 con l’aumento dei costi trattenuti sui dazi doganali esterni (che vanno alla Ue), saliti dal 10 al 25 per cento, un regalo per Rotterdam ed Anversa, i due maggiori porti continentali. Nel 2011 Berlino ha riavuto 1,59 miliardi, Amsterdam 1,22, Stoccolma 498 milioni, Vienna 90 milioni e Bruxelles 527 milioni. Anche la Danimarca adesso reclama il suo sconto. Una riduzione, creata per appianare il peso dei contribuenti netti in un’ottica di solidarietà europea, non ha fatto che aumentare gli egoismi nazionali. Tutti lo vogliono, ma andrebbe rivisto.
7. Il Parlamento metterà il veto?
Il bilancio lo definiscono i 27 all’unanimità, ma poi il Parlamento Ue ha potere di veto sul pacchetto chiuso. «I tagli proposti da Van Rompuy sono completamente inaccettabili, il Parlamento dirà no», ha tuonato il suo Presidente Schulz. I governi stanno facendo i conti senza l’oste? «Andiamo avanti come nella Champions League, una partita alla volta. Il prossimo match è a febbraio, vediamo di trovare l’accordo e poi penseremo al Parlamento», dice un delegato nazionale. «Il Parlamento», vaticina un altro diplomatico, «sarà responsabile anche perché senza bilancio sarà un casino, non riesco nemmeno ad immaginarmi come potremmo andare avanti». L’Europa, spesso, è un esercizio di immaginazione.