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 2012  dicembre 07 Venerdì calendario

I TORMENTI DEL GIOVANE MONTI

[Governa solo da un anno, ma gli piace e non è attratto dal Colle. Per l’Europa poi resta l’unico garante. Così il premier rimane al centro dei giochi. In attesa che...] –
Il mystère Mario Monti, con l’accento sulla i, non è solo un libro di quasi mezzo chilo scritto da una penna francese, il corrispondente Guillaume Delacroix su un personaggio che interessa Oltralpe al punto di meritarsi un’analisi così approfondita. Mario Monti è anche l’incognita centrale - laddove centrale ha come minimo un doppio senso - del futuro del sistema politico italiano ancora nel bel mezzo di un guado tra i più enigmatici e imprevedibili. Sono mesi e mesi che si vaticina e si scommette sulle possibili mosse, endorsement, outing del premier. E non si può dire che a confondere le acque anche lui non ci abbia messo del suo. Ma ora deve trovare il modo di evadere proprio i dossier aperti sul suo tavolo che portano il suo nome. Il grande rebus è quando, il grande rebus è come.
Un nodo istituzional-politico complesso non di facile dipanatura. Un tecnico di grande autorevolezza internazionale sull’orlo della fine di un breve mandato. Il suo obiettivo primario è stato centrato, i conti dell’Italia in sicurezza (il Paese non altrettanto). Pesano le pressioni di rango di chi non vuole fare a meno di lui, la sua voglia di restare ma super partes, il suo status di senatore a vita, l’appello di quelli che i suoi chiamano un "rassemblement" di moderati. E sopra tutto il Colle, attentissimo garante del sofferto tramonto della Seconda Repubblica. Un groviglio. Come uscirne, come rimanerci?
«Il professore sta riflettendo», spiegano le sibille a lui più vicine e naturalmente vogliono dire sul da farsi e sulle posizioni da prendere. Intanto il 3 dicembre nella conferenza stampa a Lione, François Hollande si è dichiarato: «Monti è un grand’uomo» e non è di poco conto il fatto che il presidente socialista, molto a cuore a Pier Luigi Bersani, abbia detto questo di lui, e nemmeno una parola, a quanto pare, sul vincitore delle primarie del centrosinistra, e poteva farlo visto che si erano svolte appena il giorno prima. Un grand’uomo il compagno Monti, secondo Hollande. Ma quanti tormenti in ballo.
Intanto, fa trapelare il suo quartier generale, la principale preoccupazione di Monti è il timore, chiunque vinca le elezioni 2013, che il lavoro fatto in quest’anno venga disperso. Non perde occasione per sottolinearlo, ufficiosamente e anche ufficialmente l’ultima volta è ancora proprio lunedì 3 quando ha fatto notare la differenza dei valori dello spread attuale rispetto a quelli del suo arrivo a Palazzo Chigi. L’accento sul risultato dello spread nel giorno del risultato delle primarie: un caso, certo, sotto sotto pure una bella sfida.
Ma anche il segnale che il suo lavoro di super commissario tecnico è compiuto. In effetti dopo l’approvazione della legge di stabilità, il giro di boa è fatto. E allora con i ministri in ansia da candidatura e il fischio d’inizio della campagna elettorale, il premier potrebbe anche dire il mio mandato è arrivato a termine e scegliere la strada delle dimissioni e del lavoro ordinario. Una sorta di tana libera tutti.
Non lui a quanto pare. Il capo dello Stato, il mago che estrasse dal cilindro presidenziale un Monti senatore a vita, quando le voci di una candidatura erano troppo insistenti, ha ricordato che Monti non è candidabile. Da mesi il premier ha detto assai apertamente la sua disponibilità a servire ancora il Paese (a Monti piace governare, oltre al fatto che il Quirinale, a detta di molti, non è il palazzo perfetto per esponenti della tecnocrazia) senza mai, però, addentrarsi nei particolari di possibili formule. È bastato questo a dare il via libera per partiti e liste con l’agenda Monti come breviario, da Pier Ferdinando Casini a Luca di Montezemolo con il ministro Andrea Riccardi e altri colleghi di governo che potrebbero formare un team tecnico, con anche la benedizione operosa del cardinal Bagnasco e Gianni Letta, insomma la compagine moderata e di centro con più affinità elettive, è il caso di dire, con lui.
Ma gli ultimi non esaltanti sondaggi sulla capacità di attrarre voti del Centro, il successo delle primarie che hanno infiammato gli animi Pd, la performance di Nichi Vendola, avrebbero raffreddato il suo interesse. In ogni caso, va sempre più impallidendo la possibilità di una sua immediata discesa in campo, scelta che non sarebbe considerata né opportuna né tempisticamente azzeccata dal Quirinale. Molto più in ascesa la possibilità di un’adesione a fine campagna elettorale.
Naturalmente, in una situazione di grande nebbia istituzionale le variabili hanno effetti imprevedibili. C’è l’incognita Silvio Berlusconi: il Cavaliere di rinvio in rinvio vuole decidere all’ultimo momento il suo destino e quello del Pdl allo sbando (una parte non vedrebbe l’ora di buttarsi tra le braccia rassicuranti di una lista pro premier). Qualcuno sostiene anche che stia aspettando le mosse di Monti al quale da presidente del Consiglio offrì il ministero dell’Economia ottenendo un rifiuto e che non esiterebbe a sostenerlo come leader di una lista europeista e "ripulita". Tutti conti senza l’oste ovvero l’accordo sulle modifiche del Porcellum su cui William Hill, il miglior bookmaker europeo, non scommetterebbe un granché di penny. Si riflette a Palazzo Chigi anche sul fatto che un risultato elettorale spezzettato porterebbe dritti dritti a un Monti bis.
Ma oltre alla preoccupazione di veder vanificato il lavoro del governo, Monti ha un’altra ossessione, se ossessioni si possono chiamare i principi di un uomo che deve aver depositato in qualche cassetta bancaria l’emotività, che non riguarda solo lui ma anche le persone che compongono il suo governo. La fastidiosa eventualità di un sospetto. La possibile rilettura politica dei suoi atti da presidente del Consiglio nel caso di un’eventuale e finale discesa in campo in uno degli schieramenti. Un desiderio di neutralità tecnica di super partes finora conditio sine qua non di un impegno governativo. La dichiarò quando nell’autunno 2010, al tempo dello strappo Fini-Berlusconi, Massimo D’Alema (lo rivelò "l’Espresso") propose a lui, allora presidente di Bocconi, la premiership del centrosinistra. Monti pose tre paletti: di essere indicato solo da Giorgio Napolitano, di arrivare alla nomina senza campagna elettorale, di essere sostenuto da una vasta maggioranza. Un anno dopo, il capo dello Stato chiuse il complicato cerchio.
Ma al centro della scrivania di Monti capeggia il dossier del club europeo, il club che lo considera il garante dell’Italia. Tanto da essere il candidato numero uno alla successione del presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy che scade il 30 novembre 2014. È anche vero che per l’Europa quel che conta è soprattutto la stabilità di un Paese. E certo una vittoria elettorale netta potrebbe soddisfare quest’istanza. Tramontata un’ipotesi quirinalizia, un Monti traghettatore, premier o super ministro, non è un dossier da mettere in soffitta (una possibile intesa Bersani-Monti? Hanno già preso un appuntamento). Anche perché ce n’è bisogno e visto che il 2014 non è proprio dietro l’angolo, mica si può esodare uno come Monti.