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 2012  dicembre 03 Lunedì calendario

L’errore dell’editoria? Snobba i lettori - The Paris Review non è solo un periodico che parla di let­teratura

L’errore dell’editoria? Snobba i lettori - The Paris Review non è solo un periodico che parla di let­teratura. È la rivi­sta di letteratura più importante degli Stati Uniti, la testata che ha for­mato il gusto degli america­ni in fatto di letture dal 1953, anno in cui George Plimp­ton la fondò, ad oggi. Le sue interviste agli scrittori (in Italia pubblicate in quattro volumi da Fandango) sono piccole bibbie. Dalla prima­vera 2010 a dirigerla (e ad averla lanciata anche in re­te) è Lorin Stein, nemmeno quarantenne, già responsa­bile di narrativa di Farrar, Straus and Giroux, per cui ha cresciuto vari Pulitzer e National Book Award, oltre a Jonathan Franzen. A Mila­no invitato dalla rivista Stu­dio , per cui in Triennale ha tenuto un incontro su Le rivi­ste letterarie, il romanzo e le nuove forme di narrazione oggi , Stein parla di letterat­u­ra come si parla di calcio ma con la passione e il rigore con cui si parla di una fede. Che cos’è la buona lette­ratura? «Quella che ti fa ripensare la tua vita». E la letteratura spazzatu­ra? «Ce n’è di due specie. La spazzatura che si riconosce: non c’è bisogno di parlarne. E poi il tipo peggiore: quella che fa finta di parlarci delle nostre vite, ma è fatta solo di trucchi». Che distanza c’è oggi tra editoria e buona letteratu­ra? «La buona letteratura oc­cupa, negli Stati Uniti, l’uno o il due per cento del merca­to editoriale». È la gente che chiede spaz­zatura o è costretta a leg­gerla perché non trova al­tro sul mercato? «Gli editori sottovalutano sempre il pubblico. Nessun editore avrebbe scommesso sul successo di mille pagine di un cileno come Roberto Bo­laño. O su Jonathan Franzen. O su Denis Johnson. Ma quan­do poi scalano le classifiche, tornano da te e ti dicono: “Si tratta di anomalie”. Ma se sei un buon editor le anomalie so­no il tuo mestiere. E le dirò un segreto: la merda non ha nes­sun v­antaggio di partenza sul­la qualità ». Il marketing pesa anche sui buoni scrittori? «Solo un pazzo idealista po­trebbe pensare che gli scritto­ri, per quanto bravi, dimenti­chino che tipo di readership possiedono. Elaine Blair ha scritto di recente un articolo sulla New York Review of Books su come i narratori maschi americani siano preoc­cupati di non essere abbastanza amati dalle lettrici e di come quindi sottoponga­no spesso i loro personaggi maschili a piccoli rituali di umiliazione. Secondo l’articolo, la fiction di Gary Shteyngart, Sam Lipsyte, Richard Price, Jonathan Franzen, David Foster Wallace è la rea­zione al “ Grande Maschio Narcisista” di John Updike, Norman Mailer e Philip Roth. E le dirò che non lo trovo affatto de­plorevole ». Una rivista letteraria oggi non è un anacronismo? «Quando Plimpton la fondò, nel 1953, gli dissero che era un’operazio­ne anacronistica. Tom Wolfe e altri nel tempo l’hanno accusata di anacroni­smo, dicendo che era fatta da gente che voleva vivere come negli anni Ven­ti. Oggi dicono che è fatta da gente che vuole vivere come negli anni Sessanta. Ma se un’operazione rimane “anacro­nistica” per più di mezzo secolo vuol di­re che semplicemente non lo è». Chi sono i suoi lettori? «La più alta concentrazione è a New York, Londra, Los Angeles. Dai 30 ai 40 anni, metà uomini e metà donne, gua­dagnano sui 150mila dollari l’anno, educazione universitaria. Io li vorrei più giovani e più internazionali». I critici letterari esistono ancora? «Negli anni Sessanta mia nonna, re­pubblicana episcopale, chiedeva alla mia bisnonna il New York Times, spun­tava i libri segnalati e poi andava in li­breria. Oggi quelle nonne non esisto­no più. Ma non esisotno più nemme­no quei critici. Tuttavia, in America, fi­no a dieci anni fa, esisteva una critica locale del tutto indipendente, inimma­ginabile in Europa, che dirigeva i gusti della provincia. Morta anche quella. I giornali hanno chiuso, non avevano più raccolta pubblicitaria». E che fine ha fatto lo spirito critico della massa? «Non esiste spirito critico senza gu­sto e non hai gusto se non hai potere». Scriverà un romanzo? «Mai . Non ho niente da dire e anche se l’avessi non ho il talento per dirlo. Non ho immaginazione». Come si riconosce un genio in lette­ratura? «Le persone che scrivono romanzi sono una razza differente. Lavano i piatti come noi, ma le dimensioni con cui pensano alle cose ti fanno stringe­re lo stomaco». Lei quante ne conosce? «Sono fortunato: molte». Non c’è crisi di geni? «C’è crisi di educazione».