Omero Ciai, la Repubblica 7/12/2012, 7 dicembre 2012
DAL NOSTRO INVIATO
BUENOS AIRES
C’è un grande manifesto rosso sulla via Tacuari a Buenos Aires vicino alla sede storica del quotidiano
Clarìn.
E domanda semplicemente: “
ClarìnMiente?”
(
ClarìnMente?).
E’ lo slogan della controcampagna del maggior trust mediatico dell’Argentina bestia nera della signora Kirchner. Se
Clarìnmenta
o meno se lo chiede tutto il paese ora che è iniziata la battaglia finale con il governo. Metà dell’Argentina, quella che appoggia Cristina, risponde di sì, l’altra metà lo difende in nome della libertà d’espressione e del mercato ora che
Clarìn
rischia una punizione che può avere l’effetto di un terremoto su tutti i mass media argentini. Ieri notte è stata rinnovata in extremis la moratoria concessa dai Tribunali per l’adeguamento delle società di tlc alla nuova legge su stampa e tv ma ormai è solo questione di tempo. Chi non si adeguerà potrà essere espropriato da una agenzia del governo.
Fin dall’inizio l’obiettivo della legge è stato quello di contenere e ridurre in modo sostanziale il potere del
Grupo Clarìn,
un network che fattura più di 6 miliardi di euro (nel 2010), ha oltre 7mila impiegati, e possiede canali tv, radio, agenzie di stampa e provider internet. Ma che, soprattutto, è stato negli ultimi anni, insieme a “
La Naciòn”
e a “
Perfil”,
una voce molto critica verso il governo peronista di Nestor Kirchner prima e di sua moglie Cristina poi. Non è un caso che per festeggiare come una vittoria la scadenza, poi rinviata, della moratoria la “ presidenta” Cristina avesse deciso di convocare per oggi una manifestazione nella Plaza de Mayo davanti alla residenza della Casa Rosada.
La prima mossa di Cristina fu quella di togliere a
Cablevision,
la rete a pagamento del
Grupo Clarìn,
i diritti del campionato di calcio. Con un investimento pari a 150 milioni di euro l’anno dalle casse dello Stato, la “presidenta” inventò “Futbol para todos” (Calcio per tutti) che restituiva alle reti pubbliche in chiaro tutte le partite del campionato. Poi venne la legge che se applicata costringerà il gruppo a vendere i canali tv in chiaro oppure quelli a pagamen-
to, stazioni radio e provider internet. Un dimagrimento forzato che potrebbe anche mettere il network a rischio fallimento. Insieme al quotidiano (400mila copie di media giornaliera), il
Grupo Clarin
è proprietario di un quotidiano sportivo, “
Olé”,
e di due giornali locali all’interno del paese, “
Los Andes”
e “
La voz del interior”;
di una agenzia di notizie e di alcune tv:
Canal 13,
leader nell’audience dei canali generalisti e
Cablevision,
la più grande delle tv via cavo con oltre 3,5 milioni di abbonati.
Fondato nel 1945 da Roberto Noble, il
Clarìn
è cresciuto notevolmente a partire dagli anni Settanta sotto la guida della moglie di Noble (morto nel ’69) Ernestina e dell’amministratore delegato Hector Magnetto, e si è trasformato in un gruppo multimedia nel corso degli anni Novanta grazie alle liberalizzazioni dell’epoca di Carlos Menem accumulando un potere mediatico immenso. «Non c’è governo che possa sopportare tre prime pagine critiche del
Clarin
», è il refrain preferito di Magnetto. Lo scontro, violentissimo,
con Nestor (morto nel 2010) e Cristina Kirchner iniziò nel 2008 ai tempi della serrata dei produttori di carne e soia, quando il governo voleva raddoppiare le tasse sulle esportazioni. E non è mai finito. Per gli avvocati di “
Clarìn”,
che hanno presentato ricorso alla Corte Suprema, la nuova legge è incostituzionale e non potrà essere applicata finché non si sarà una sentenza della massima Corte. Ieri notte il Tribunale civile gli ha dato ragione estendendo la moratoria in attesa di una sentenza della massima Corte sulla costituzionalità
della legge. Una vicenda che fra cause, ricorsi e colpi di mano, può protrarsi per mesi, forse per anni, ma che è diventata anche una guerra finale per Cristina e per i dirigenti peronisti. Se vince diverrà più facile il suo progetto di modificare la Costituzione per ottenere un terzo mandato presidenziale e più forte l’idea di una Argentina sempre più “statalista” e autarchica. Se perde, invece, l’obiettivo di perpetuarsi, come ha fatto Chàvez in Venezuela, subirà
una seria battuta d’arresto.