Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  dicembre 07 Venerdì calendario

DAL NOSTRO INVIATO

HELSINKI
Vedi volti felici e tranquilli sul futuro, bei sorrisi che illuminano occhi verdi e capelli rossobruciato, o facce canute di anziani sereni. Espressioni da opulenza stile Monaco di Baviera o mugugni in accento bavarese o dell’Assia su italiani e greci spendaccioni, le senti rimaste indietro, due ore di volo a sudovest, mentre tra la bellissima neoclassica Esplanadi, le strade pedonali e la Mannerheimintie passeggi tra la folla. Qui parlano allegri ma a bassa voce, cercano regali per natale a dieci sotto zero, risparmiati per
poco dalla frustata gelida del vento. Anche il look non sfoggia abbondanza, come a volte nella prima potenza europea, il traffico non ha il rombo assertivo di Audi, Bmw o Mercedes a 12 cilindri. Prevalgono sibilo dei jumbotram, rumore dei passi, o le note dolci di
Amazing grace
che un ragazzo suona col flauto tra il negozio di moda-design Marimekko e la libreria universitaria che Alvar Aalto regalò alla sua città. Eccolo, come appare a sorpresa, il fortino dei superfalchi rigoristi dell’eurozona, ecco l’altro volto del Nord forte di un’Europa divisa dal reddito. Terribilmente rigorista, più protestante della patria di Lutero, ma senza sbatterti in faccia il consumismo.

HELSINKI
Né timori verso noi meridionali: qui i timori sorgono più rari che in Germania, e poi li confidi appena.
Corre verso feste che noi giù non ci permettiamo più con tutta la sua aria soft, il fortino dei falchi dell’euro, dove dicembre nella difficile, musicale lingua di qui si chiama “mese di Natale”. Sei lontano anni luce dal crollo dei redditi di casa nostra, qui sembra quasi impossibile capire il dramma sociale greco. Ma non ti senti nemmeno nel “corri e spendi”
mugugnante alla tedesca. Persino gli addobbi sulle strade evitano eccessi di Kitsch luminoso, proprio come diversi sono i toni. La gente comune o i big dell’establishment ti accolgono lodando il paese del tuo passaporto con ottimismo oltre misura. Il fortino dei falchi del nord non è la Bundesbank, lo stile Monti-Draghi piace e te lo dicono, confessano di augurarsi che continui. Persino le battute volgari dell’ex premier su una loro capo del governo devi ricordargliele tu, è strano nel primo paese dove le donne votarono, anche oggi avanti anni luce in pari opportunità persino
rispetto alla Germania di
“Angie” Merkel.
«È vero, siamo severi — dice un alto funzionario — ‘etica luterana esige di mantenere i patti. Ma la richiesta di pegni ai greci in cambio degli aiuti è venuta dai partiti di sinistra nella coalizione”. Nata per dire no all’ultradestra. Il volo dei “Veri finlandesi” i populisti di destra
di qui, l’ha imposto. Ma anche il ricordo del passato, di momenti sconosciuti agli altri europei, falchi o colombe. Momenti lontani o vicini, di crisi tremende, da quando nel 1945 Mosca negò il piano Marshall a Helsinki come all’Est occupato. Ricordi che qui nel freddo, splendido e atipico fortino dei falchi riaccendono dubbi, timori
verso proprie arroganze,
incertezze sul futuro.
«Negli ultimi anni l’economia ha tirato bene, Pil più 3,3 nel 2010, più 2,7 l’anno scorso, ma quest’anno il rallentamento è brutale, appena più 0,5, l’anno prossimo più 1 se va bene », avverte Penna Urrila, il giovanissimo
chief economist
della confindustria finlandese.
«Abbiamo fortuna, perché i nostri primi partner commerciali, Germania e Svezia, crescono ancora, andiamo bene in Cina e l’export fa il 40 per cento del pil, ma col loro rallentamento l’onda lunga arriverà anche da noi». E il solo pensiero riaccende ricordi cupi. «Qui tra il 1990 e l’inizio del ‘93, tra crollo dell’Urss mercato garantito, esplosione dei costi del welfare e del debito, e industria invecchiata, il Pil crollò del 20 per cento, i disoccupati divennero 18 su cento, capisce, nel grande Nord è spaventoso. I tassi si fecero proibitivi». Non ebbero tempo per essere
choosy,
allora, quelli del fortino dei falchi nel grande nord. Riforme brutali, tagli, sacrifici pesantissimi. E una crisi bancaria «che
anticipò Lehman Brothers o il caso Spagna».
Difficile immaginarselo, ma un passato da Europa mediterranea di oggi col gelo allora si abbatté come un macigno sul fortino dei falchi dove se non hai soldi per il riscaldamento non arrivi vivo al disgelo. Difficile leggerlo, quel ricordo di dolorose svolte continue, negli occhi verdi e sui volti dei sorridenti nonni canuti, nello struscio calmo dello shopping di natale qui tra Esplanadi e Mannerheimintie, eppure è rimasto in ogni animo. Per questo, dicono al Labour institute for economics research, «oggi i fin-
landesi percepiscono la crisi dell’euro come crisi bancaria. Non credono che stiamo aiutando greci o portoghesi, ma banche francesi e tedeschi che hanno guadagnato investendo e offrendo crediti laggiù senza freni…pensano che la crisi sarà ancora lunga». Puoi ancora prendere fiato qui dove dopo tasse pesanti la retribuzione media vola sui tremila euro mensili. Ma non basta a rasserenare il fortino dei falchi.
Percezioni da cercare, nella Helsinki della qualità della vita, dove il culto del design cambia volto alla città più velocemente che ovunque altrove al mondo. Devi bussare ai portoni e negli animi, per cogliere i traumi di chi si è riciclato: start-up o piccole aziende di servizi dopo
una vita a produrre macchinari high tech o navi, e incubo del precariato persino a Nokia, sinonimo d’eccellenza oggi in crisi da profondo rosso. Sopravvivono riformandosi di continuo. «Non diversamente dagli altri amici europei, non abbiamo studiato la storia, né quella altrui nella nostra, e chi nega la Storia è condannato a ripeterla », dice sorridendo il gentile Erkki Liikanen, l’aria da vivace gentiluomo inglese, governatore della Banca centrale e partner-contraddittore leale di Mario Draghi al vertice della Bce. Con l’autocritica sulla storia non imparata quasi cita Sofi Oksanen, la brava scrittrice sociale- critica del momento. «Ognuno deve davvero saper fare da sé, al momento delle elezioni
come dopo al momento delle scelte, non lo dico solo per gli altri», aggiunge, e sottolinea: «Non sto qua a dar lezioni, né al Sud né ad altri, dico solo che conosco Monti da tanti anni insieme a Bruxelles, lo rispetto molto ». Cerca di rassicurare senza farsi illusioni sul suo fortino, l’ottimo Herra Liikanen, nel palazzo neoclassico dove lavora tra i bei quadri di Akseli Gallen-Kallela, il pittore che portò qui l’arte europea moderna.
I populisti restano un problema, contenibile ma serio anche qui, ammonisce il governatore Liikanen quando lo interrogo su Grillo, su Berlusconi, o sui loro “Veri finlandesi”. «Per ogni domanda o problema complesso, di questi tempi ma non solo c’è sempre chi si fa avanti
trovando una risposta chiara, semplice e ovviamente sbagliata. E’ il problema dell’Europa». Si prepara così al 2013 delle prove, il fortino dei falchi, tra animo severo e inflessibile e profondo volto umano. La storia non imparata che Liikanen evoca pesa nella memoria collettiva dei rigoristi del Nord. Te la ricorda, anche, al limite nordovest del centro dello shopping di natale, quasi monumento al dubbio, la statua d’un signore elegante dal volto triste, quel maresciallo Mannerheim che da Pilsudski finnico fondò il Paese, ma combatté invano contro la perdita della Carelia e di Viipuri, la Torino finlandese annessa a forza da Stalin e ridotta a grigio deserto.
© RIPRODUZIO