Marco Ferrando, Il Sole 24 Ore 5/12/2012, 5 dicembre 2012
INSIEME ABBIAMO CAMBIATO IL CREDITO
Forse, come ritengono entrambi, la figura del «banchiere di sistema» non esiste. Ma in Italia le banche rappresentano senza dubbio un sistema, e sia Giovanni Bazoli che Cesare Geronzi ne sono stati protagonisti per una lunga fase. Una stagione ormai finita e per certi aspetti fallita perché imprigionata nelle dinamiche tipiche di quel capitalismo di relazione fatto di poche relazioni troppo strette, di cui il recente libro-intervista «Confiteor» di Massimo Mucchetti con lo stesso Geronzi è uno specchio fedele. E – forse per questo – a tratti sorprendente e per alcuni anche inquietante, come si è detto ieri a Milano alla presentazione del libro.
Insieme ai due autori, alla Fondazione Corriere della Sera c’erano Giovanni Bazoli, Carlo De Benedetti e il direttore del Sole 24 Ore, Roberto Napoletano, coordinati dal direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli. Il libro, «un’intervista scomoda fatta da un giornalista scomodo» per de Bortoli, «è un dialogo serrato da cui emerge un racconto tra vero e verosimile – ha osservato Napoletano – che mette a nudo impietosamente le debolezze gravi di un sistema. Certo colpisce che a dirlo con più forza dello stesso Mucchetti sia uno dei protagonisti di questo sistema come Cesare Geronzi».
In una sala gremita con, tra gli altri, l’ex presidente dello Ior Angelo Caloia, il presidente dell’Enel Paolo Colombo, Giulia e Jonella Ligresti, Tarak Ben Ammar e Pietro Salini, sono arrivati innumerevoli riferimenti al passato, stoccate ai presenti e agli assenti, qualche provocazione e – su tutto – il desiderio dei due banchieri di rimarcare la propria verità sui fatti raccontati, dai grandi riassetti bancari a Rcs, dalla Fiat a Telecom. Una verità, quella di Geronzi e Bazoli, che passa anzitutto per il legame che li ha sempre visti coinvolti. «Una collaborazione leale» per il presidente di Intesa, una «sintonia magica» per l’ex numero uno di Generali: «Negli ultimi 15 anni, caro Nanni, il rapporto tra noi due è stato un bene per il Paese», dice Geronzi. Che ora sente la necessità di «reclamarne il merito: abbiamo lavorato per il bene dell’Italia, con spirito di servizio e per restare indipendenti».
Romano l’uno e «della provincia lombarda» l’altro, cattolici entrambi ma di scuole diverse, l’intesa è sbocciata «nell’ultimo decennio», ha detto Bazoli, facendo riferimento all’arrivo di Geronzi in Mediobanca. E se talvolta è sembrato profilarsi uno strappo, le responsabilità sono da cercarsi altrove. Come nel 2006, quando il ceo di Capitalia, Matteo Arpe, acquistò un 2% di Intesa per proteggere l’istituto romano dal rischio di un’Opa: «Fu un gesto inutile – dice Bazoli – perché avevo personalmente assicurato Geronzi che non ci saremmo mossi».
Se è vero che Geronzi e Bazoli sono stato decisivi nel delicato riequilibrio del sistema bancario degli ultimi 15 anni, Geronzi reclama per sé e Bazoli il merito di quella che definisce una vera e propria «ristrutturazione». Un percorso fatto di «operazioni coraggiose» come il salvataggio del Banco di Sicilia nel ’99 o l’integrazione di Bipop-Carire del 2002 per far nascere Capitalia: «Abbiamo avuto coraggio anche se la politica – dice Geronzi – non ci ha fatto lavorare tranquillamente». Già, la politica. Ingerenze, collusioni? «Il problema non sono le relazioni, ma come si approccia il mondo politico», dice Bazoli, che non rinuncia a toccare un tasto delicato, come i rapporti tra Geronzi e Silvio Berlusconi: «Gli ha detto diversi no, e io ne sono stato testimone».
La politica, dunque. Oltre alle banche e a tutti salotti buoni della finanza, dalle Generali (da cui «non so se sono stato cacciato o se ero io che non volevo stare più con loro», dice Geronzi) fino a Fiat, Pirelli, Telecom. Un ruolo a tutto tondo che, per Carlo De Bendetti, fa sia di Geronzi che di Bazoli non dei banchieri ma dei «power broker»: «Almeno Geronzi ha fatto il direttore di banca, ma Bazoli si é trovato lì perché l’ha voluto Andreatta. Ha fatto un lavoro eccellente, ma non sa neanche cos’é una banca», ha detto De Benedetti. Che dopo aver dedicato un passaggio all’attuale ministro Corrado Passera («È stato utile quando lo chiamai alla Olivetti perché il suo carattere era rotondo a differenza del mio piuttosto spigoloso»), non ha rinunciato a rivolgere una stoccata a Marco Tronchetti Provera: «Da membro del patto di sindacato Pirelli – ha detto – considerai una stupidaggine acquistare da Gnutti la Telecom pagando un prezzo spropositato. Quella distruzione di ricchezza è un primato nella storia italiana».