Il Sole 24 Ore 6/12/2012, 6 dicembre 2012
USA, IL VIZIETTO DELLA LIQUIDITÀ ALL’ESTERO
Non è solo l’erario degli Stati Uniti, ma anche l’autorità di Borsa a preoccuparsi per il vizio della Corporate America di nascondere tesori in contanti all’estero, se possibile in qualche paradiso fiscale. La Sec ha dichiarato guerra a questa pratica, denunciando che se le cifre non vengono alla luce nei documenti aziendali si configura un danno per gli investitori. A essere oscurata è la percezione della liquidità e degli obblighi nei confronti del fisco.
L’organismo di vigilianza dei mercati ha chiesto che le società depositino presso i suoi uffici una chiara distribuzione dei loro contanti dopo che, sull’esempio dei nomi noti di Google e Apple, General Electric e Microsoft, la lista di aziende multimiliardarie che parcheggiano forzieri all’estero è diventata sempre più lunga: da Emerson Electric a Illinois Tool Works. E l’intervento della Sec, rivelato dal Wall Street Journal, apre un nuovo spiraglio sulle dimensioni di un fenomeno finito sotto i riflettori tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, dove aziende americane anzitutto tecnologiche sono sospettate di elusione. Con solo 600 delle mille principali multinazionali che hanno specificato quanto cash abbiano parcheggiato fuori dai confini nazionali, la cifra calcolata sfiora già i 600 miliardi, pari al 60% del totale. I profitti, grazie a manovre contabili o di trasferimento di asset “mobile” quali la proprietà intellettuale, trovano la strada delle nazioni con le aliquote più basse e i regimi più flessibili, evitando l’imposta massima formale del 35% vigente in America sugli utili aziendali.
Dai dati più recenti, a fine settembre, affiorano casi eclatanti. Una società come la Emerson, con due miliardi in contanti, ha rimpatriato quest’anno solo circa 500 milioni. Per operare in patria con così poche risorse – vale a dire pagare dividendi, ricomprare titoli e anche versare un po’ di tasse – ha fatto ricorso all’indebitamento. Alcune aziende utilizzano aggressivi sotterfugi per rimpatriare segretamente i profitti, quali prestiti a breve esentasse tra controllate e casa madre, prassi di cui è sospettata Hewlett-Packard. Sovente la differenza tra povertà in casa e ricchezza all’estero salta all’occhio perchè non riflette per nulla le caratteristiche del business: Illinois Tools ha all’estero tutti i suoi 2,1 miliardi di cash, nonostante vanti negli Stati Uniti il 40% del fatturato. Un altro gruppo manifatturiero, Dover, ha fatto emigrare i due terzi dei contanti in contrasto con il 60% locale delle entrate. Molto esterofila anche Johnson & Johnson, con 24,5 miliardi anche se fuori genera solo il 46% del giro d’affari. Ancora: Whirlpool ha esportato l’85% del suo cash. Nè i nomi già noti sembrano perdere il vizio: Microsoft ha in giro per il mondo l’87% di un tesoro da 66,6 miliardi. E General Electric circa due terzi dei suoi 85,5 miliardi mentre le vendite statunitensi della cosiddetta azienda Pil, cioè un gruppo che per diversificazione è considerato rappresentativo dell’economia americana, sono tuttora il 45% del giro d’affari.