Elena Stancanelli, la Repubblica 6/12/2012, 6 dicembre 2012
SCRIVERE L’EMOZIONE
[Paul Haggis, regista e sceneggiatore da Oscar per Clint Eastwood (“Million Dollar Baby”), sta girando la sua prima pellicola sentimentale. “Ogni love story nasconde un segreto: nessuno dice mai la verità”] –
«Cosa faresti davvero per amore? Qual è il più grande sacrificio che potresti offrire alla persona che ami? Mentre scrivevo Million dollar baby (il film che avrebbe diretto Clint Eastwood, ndr.), mi facevo continuamente questa domanda ». Paul Haggis è nato in Canada, e forse anche per questo ha una caratura diversa dagli altri autori hollywoodiani. Ha vinto un Oscar come sceneggiatore di Crash (del quale è anche regista), sono suoi Nella valle di Elah, Flags of Our fathers, e ha scritto anche due bellissimi film di James Bond: Casino Royal e Quantum of Solace.
Da anni racconta l’America mettendosi di sbieco, lo sguardo acuto di chi fa tesoro di una piccola estraneità.
Haggis è stato a Roma, per girare il suo ultimo film,
Third Person.
La sua prima storia d’amore. Haggis è un uomo dall’aspetto risoluto, con grandi e implacabili occhi azzurri. Parla con passione travolgente, si capisce che fa il suo mestiere con una determinazione muscolare,
inarrestabile.
Dunque, che cosa si è risposto? Qual è il sacrificio in
Million dollar baby?
«Frankie, il vecchio pugile, ama Maggie di un amore purissimo: né legami di sangue, né passione del corpo. Sono amici. Quando lei non ce la fa più, e gli chiede aiuto, Frankie le dice di no. Si rivolge al suo confessore. Non farlo, gli dice anche il prete, o sarai dannato per sempre, brucerai la tua anima. Ma alla fine, contro il suo cuore, la sua fede, la sua anima, Frankie l’aiuterà a morire. Solo perché lei glielo ha chiesto. L’amore è questa cosa qui: azione. Tutti siamo capaci di dire che amiamo, di fare dichiarazioni, ma la differenza la fa chi è capace di agire, anche contro se stesso».
Come scrive le sue storie?
«Io non scrivo mai a casa mia, scrivo in un caffè, nei bar. Così resisto più a lungo. Seduto qui posso scrivere per otto, nove ore senza alzarmi. Avere intorno delle persone che parlano, si muovono, vivono mi fa sentire più tranquillo, meno solo. Tanto, niente può distrarmi dalla relazione che ho con i miei personaggi. Sarebbe molto divertente tenere una telecamera accesa davanti a uno scrittore che sta scrivendo e registrare la sua faccia, i gesti. Mi comporto come un attore che interpreta tutte le parti».
Quali sono gli elementi che non possono mancare in una storia d’amore?
«Prima di tutto la fiducia. Ognuno di noi ha bisogno di essere creduto, soprattutto chi non riesce da solo a credere in se stesso. La fiducia è il mezzo che può trasformare le persone. Ma la domanda che sta dietro questo film è: può l’amore trasformare davvero qualcuno? Io non la so la risposta. Il mio lato romantico direbbe di sì, il lato realista no. Ho provato a dare tre risposte diverse. La prima storia che racconto, quella che si svolge a Roma, ha per protagonista una ragazza Rom, della quale si innamora un ricco uomo d’affari americano. Che viene quindi coinvolto in una vicenda complicata, a partire dal rapimento di un bambino. L’idea mi è venuta mentre ero qui, nel 2008, per accompagnare Nella valle di Elah ai David di Donatello. Mi ero accorto che c’era un problema di convivenza tra voi romani e gli zingari, che creava tensione. Ho scelto lei, perché volevo un personaggio che non ispirasse alcuna fiducia. Gli ho messo vicino un uomo affascinante, intelligente, anche cinico, per il quale sembrasse paradossale decidere di fidarsi di lei. Perché dunque si fida? Perché ha un segreto. Esattamente come lei».
E poi?
«Ecco: il segreto è il secondo elemento importante di una storia d’amore. Alla base di una storia d’amore c’è sempre un segreto. Nessuno dice mai la verità per intero. Anche se non sappiamo perché, anche se non siamo disposti ad ammetterlo. Il segreto tiene insieme tutto il film, un segreto che riguarda l’amore. All’opposto psicologico della storia di Roma, è quella che si svolge a New York. Qui c’è un uomo, James Franco, che ha una totale mancanza di fiducia nella moglie, interpretata da Mila Kunis. I due sono divorziati. Un anno prima che il film cominci c’è stato un incidente nella loro casa, mentre il figlio era con la madre. Giocando con delle buste di plastica, il bambino stava per soffocare. Il marito non crede che sia stato un incidente, crede che la madre, in piena depressione, abbia cercato di ucciderlo. Ha convinto i servizi sociali che è instabile e pericolosa e si è fatto affidare il bambino. Lei cerca disperatamente di riaverlo. Noi non crediamo davvero che lei possa aver fatto una cosa del genere, ma avrebbe potuto. E la sfiducia del marito è determinante».
Dalla parte di chi sta lo scrittore, in un racconto del genere?
«Da entrambe. Lo scrittore deve sviluppare una relazione empatica coi suoi personaggi, soprattutto i più complicati, quelli che non capisce. Perché la verità non è così ovvia, e può nascondersi nel suo opposto. Che cosa accade se scopri che tutto quello che ritenevi giusto è sbagliato? Ho lavorato su questo in Crash.
Il personaggio di Don Cheadle, il detective, pensa di essere una persona per bene, di comportarsi nella maniera giusta. E’ orgoglioso di se stesso. Ma è lui che pagherà il prezzo più alto. Perché le persone orgogliose sono distanti, mettono un filtro tra se stesse e la realtà, perché si sentono migliori degli altri. L’orgoglio, il credere di stare dalla parte giusta, è un peccato mortale. E uccide l’amore».
Perché confonde la passione per sé con quella per gli altri?
«Sì. Anche nella terza storia, quella che si svolge a Parigi (ma che Paul Haggis girerà, come il resto del film, a Cinecittà, ndr.), c’è un uomo incapace di stare a contatto con le proprie emozioni. Uno scrittore, interpretato da Liam Neeson, che si sta nascondendo in un albergo per cercare di finire il suo libro. Lo raggiunge la sua giovane amante, Olivia Wilde, anche lei scrittrice al suo debutto. Michael tiene appunto un diario, nel quale chiama se stesso “lui”, e la sua amante “lei”. E’ questa la terza persona che dà il titolo al film, il segno di quanto a volte l’amore sia pericoloso e ci costringa a tenere le distanze. L’amore può essere fragile e insieme fortissimo, è un’emozione incontrollabile che ti sorprende sempre. E’ capace di spingerti fino ai tuoi limiti. Ti capita di dire, ok, posso arrivare ad accettare fino a qui e poi basta, e quando accade, spingere di nuovo il limite più avanti, e più avanti ancora. La natura dell’amore è quella di una dipendenza Molto spesso capita infatti che ci si innamori dell’amore, e non della persona».
Crede che si possa scrivere per vendetta, soprattutto
nel caso dell’amore?
«No. O almeno: io non lo farei. La vendetta ti rende indulgente con te stesso e produce materiale debole. E’ infantile scrivere contro quello che riteniamo il male. Noi scrittori siamo fortunati, possiamo prendere il nostro dolore e buttarlo in quello che stiamo facendo. Il nostro sforzo dovrebbe piuttosto essere quello di trasformarlo ».
Immagino che abbia scelto di ambientare la sua prima storia d’amore a Roma, Parigi e New York perché sono le città romantiche per antonomasia...
«Sono città che amo e sono città universalmente riconosciute come romantiche, ed è per questo che le ho scelte. Ma anche perché racconto storie molto violente. Quando ho girato Nella valle di Elah ho scelto un posto angoscioso per una storia angosciosa. Stavolta ho pensato che creare un contrasto fosse meglio, creasse una maggiore umanità. I miei personaggi si fanno delle cose orribili, e volevo che accadesse su uno sfondo molto bello. Così la gente potrà pensare: ah, vado a vedere un film divertente, romantico, solare e io posso approfittarne per prenderli a pugni!».