Giuliano Ferrara, Foglio dei fogli 3/12/2012, 3 dicembre 2012
Ballottaggio Bersani-Renzi: vi scrivo da un remoto passato – Scrivo da un remoto venerdì 30 novembre, per esigenze tipografiche sono letto il lunedì 3 dicembre
Ballottaggio Bersani-Renzi: vi scrivo da un remoto passato – Scrivo da un remoto venerdì 30 novembre, per esigenze tipografiche sono letto il lunedì 3 dicembre. Un anticipo cronologico che è una mazzata logica. Commento un fatto di cui non conosco niente altro che le premesse passate. Avrà perso Renzi, e come? O avrà vinto il famoso ballottaggio? Oggi è lunedì e in questa giornata postelettorale primaria proietto dal buio uno scampolo di opinione quanto mai prematura. Avesse vinto Renzi, sarebbero guai. Una rivoluzione di cultura, di metodo, di nomenclatura, di linguaggio, il senso del possibile per tutti gli ardenti trentenni e quasi-quarantenni d’Italia, lo squillo di un fenomeno attraente e sapido per gli occhi d’Europa e oltre, una roba capace di influenzare tutti i livelli del potere, non solo quelli consunti del partito politico; dunque a trent’anni verso i quaranta sei maturo per prendere a legnate gli ultrasessantenni che vanno per i settanta e mandarli in pensione di brutto. Il bellino, il sindaco fatto da sé contro gli apparati, il rottamatore addirittura, il bullo, il cazzaro divenuto politico responsabile e abile nel fuoco della battaglia: ora deve fare il primo ministro? Sostituire Mario Monti con la sua criniera bianca, esperienza, cultura & competenza in economia e modello renano? Deve superare il trauma del suo partito che scopre un elettorato mobile, riformatore, indisponibile alla continuità espressa dal buonsenso di Bettola e del suo illustre concittadino? Deve spigare che cos’è questo New Labour all’italiana, questo blairismo destinato a replicare il rapporto dello scozzese di talento con il passato thatcheriano, cioè deve andare oltre Berlusconi ma senza costruire un regime ideologico fondato sulla dannazione etica della memoria nazionale? Avesse perso, che uso potrà fare di una sconfitta che è ovviamente una vittoria? E’ una vittoria sonante avere portato di brutto, ma con le buone maniere, quasi la metà dell’elettorato del Partito democratico sull’orlo di un rovesciamento di tutti i valori apparentemente condivisi fino a ieri da comunisti, postcomunisti e cattolici di sinistra. E’ una vittoria, comunque siano andate le cose, avere sfidato l’ira funesta e le trame e le auodifese di in blocco conservatore ad alto tasso ideologico. E’ una vittoria avere fondato finalmente come cosa democraticamente contendibile, che supera le tradizioni socialista e democristiana, un partito che ancora non avevamo conosciuto, non carismatico e non piombato nelle abitudini organizzativistiche, un partito da società aperta in cui si riconoscono i diversi, eguali nelle opportunità ma non negli esiti. Renzi torna a Firenze, aspetta, salta un turno, scommette sul futuro, incamera un patrimonio di credibilità, gioca la carta della lealtà e della buona battaglia, si consolida e si organizza per il grande salto, visto che le procedure non potranno tornare a chiudersi e il varco è stato aperto. Facile a dirsi. In parte anche obbligatorio. Ma nel frattempo tutto è cambiato, anche se perda. Come sarà fatta la coalizione, la lista e oltre una possibile affermazione maggioritaria il governo? Quale sarà il terreno della nuova competizione politica? Avremo Ichino ministro del Lavoro? Vedremo. Voi oggi sapete come è andata, ciò che è precluso a me nel momento in cui scrivo. Ma le domande utili sono le stesse per voi che abitate il futuro e per me che lo commento dal remoto passato di un venerdì 30 novembre.