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 2012  dicembre 02 Domenica calendario

Un campione di coraggio davanti alla boria delle toghe - Il tipo umano di Sallusti è unico. Ha la faccia da atto­re di un classico dell’hor­ror anni Trenta, un Bela Lugosi in piena Transilvania

Un campione di coraggio davanti alla boria delle toghe - Il tipo umano di Sallusti è unico. Ha la faccia da atto­re di un classico dell’hor­ror anni Trenta, un Bela Lugosi in piena Transilvania. Però una piega della grinta vira sul­l’innocente, sul candido, sul Forrest Gump. Bisogna poi di­re che il comportamento pub­blico, specie nella vicenda del­la sentenza e del carcere, è da aristocratico libertino. Dirige un Giornale da sempre araldo del cinismo longanesiano, ideologia conservatrice e stra­paese, ma con la condanna per omesso controllo su una diffa­mazione Sallusti ha messo in moto una reazione psicologica e civile, personale e collettiva, che ha un solo precedente in Giovannino Guareschi, scritto­re geniale e intellettuale anti­conformista: condannato per diffamazione di De Gasperi ne­gli anni Cinquanta, l’inventore di Peppone e don Camillo rifiu­tò di interporre appello e filò in carcere. Sallusti non ha scritto sulla sua bandiera il fatale motto ar­citaliano «ho famiglia», non gli assomiglia il profilo basso e co­dardo che si attri­buiva impudi­camente e ironicamente un ce­lebre direttore del Corriere : «Ah, avessi un giornale!», e sembra che nel paese in cui «ci conosciamo tutti», il luogo per eccellenza della cuginanza e del compromesso familista al­largato, la sua parte sia quella di chi non ha e non desidera avere neanche la parvenza di una solidarietà castale o corpo­rativa. I colleghi democratici lo odiano, e lui se ne gloria e com­piace afferrandosi a una qual­che certezza morale interiore di regola insospettabile in chi esercita la prostituzione a mez­zo stampa (tutti noi, più o me­no, e massimamente quelli che lo negano e si sentono ve­stali dell’opinione pubblica, sa­cerdotesse della società civile incorrotta). Conosco poco l’uomo e il pro­fessionista, ma non avrei mai pensato che avrebbe tenuto du­ro fino a questo punto, con que­sta alterigia e incoscienza, con questa rara testardaggine. Lo ammiro, e mi dispiace che am­mirazione finisca per suggeri­re incoraggiamento: infatti io sono della scuola di Gaetano Salvemini, se ti becchi noie giu­diziarie per stupro della Ma­donnina sul Duomo di Milano, prima ripari all’estero e poi si discute. Ma devo dire che mi stordisce una battaglia di così forte tempra espiatoria, in cui l’istituzione più controversa e blandita del Paese, la magistra­tura, viene messa con le spalle al muro nell’intento di obbli­garla a essere perfettamente e assurdamente rigorosa nella sua ingiustizia («voglio il carce­re come tutti i povericristi»), e questo viene fatto con il subli­me sprezzo del rischio di finire in gattabuia per un anno e due mesi o giù di lì (in carcere an­che un giorno è lungo come un anno). Io da italiano non posso che considerare unico un tipaccio che rivendica la propria non colpevolezza (il che può essere discusso dai mille azzeccagar­bugli del teatrino italiano), ag­gi­ungendo che è pronto a paga­re con la galera e con una surre­ale certezza della pena, anzi lo esige, se questo significhi met­tere un ingombro morale sulla via dell’ingiustizia di compro­messo, un’ingiustizia senza gravi conseguenze che è un in­sulto a chi quelle conseguen­ze, e gravissime, invece le subi­sce. La destra italiana – a volerla dire tutta –pullula di personali­tà eticamente distratte, che a un garantismo giuridico teori­co affiancano l’umanissima vo­glia di sottrarsi agli affanni del­le corti e delle inchieste, maga­ri facinorose, in un modo o nel­l’altro; e forse anche questa ge­nerale distrazione etica ha fat­to sì che in quasi vent’anni si sia combinato tanto poco in fat­to di riforma delle carriere e dei codici e dell’amministrazione del diritto. Ora, il direttore del Giornale è un campione di que­sto mondo, ma lo rappresenta con una misura di inaudita e adamantina purezza morale, fa la lezione ai gendarmi che lo vogliono libero dopo averlo condannato alla prigione, li stuzzica, li provoca, li esorta e supplica a tradurlo in catene, sapendo che certo questo col­pirà la loro boria, i loro automa­tismi burocratici, i loro vizi fa­ziosi, ma alla fine un anno e due mesi a San Vittore non si augurano al peggiore dei nemi­ci, figuriamoci a sé stessi. Qualche volta penso che Sal­lusti voglia espiare una pena simbolica per conto di un inte­ro tempo politico e civile, quel­lo del berlusconismo nei suoi aspetti più selvaggi, e che met­tere in gioco la propria libertà possa risultare per un hombre vertical come lui dimostra di es­sere­il modo di riscattare perso­nalmente e collettivamente una reputazione ormai decisa­mente dubbia, opaca, e sfilac­ciata sotto il profilo della digni­tà e coesione temperamenta­le. Ma noi che abbiamo fami­glia, e con questo intendo non solo un certo mondo ma l’insie­me un po’ fetido della profes­sione in cui sguazzo da decen­ni (giornalismo «de sinistra» compreso), avremo la nostra bella convenienza, il nostro in­confessabile vantaggio, se quel pazzo lucido otterrà la di­sgrazia della galera. E questo dà da pensare.