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 2012  dicembre 02 Domenica calendario

La polizia entra al «Giornale»: il direttore finisce agli arresti - È la scena che non ci si im­maginava di poter vede­re

La polizia entra al «Giornale»: il direttore finisce agli arresti - È la scena che non ci si im­maginava di poter vede­re. Due minuti prima di mezzogiorno la polizia entra nella sede del Giornale , sale al terzo piano dove è in corso la riunione di redazione del matti­no e arr­esta il direttore Alessan­dro Sallusti. Tre funzionari noti­ficano al giornalista, condanna­to a quattordici mesi di carcere per diffamazione, l’ordine di espiazione della pena agli arre­sti domiciliari. Tutto avviene sotto gli occhi di una folla di re­dattori attoniti, di colleghi, di cameraman, di fotografi. Sem­bra- ma non è- il capitolo finale del caso senza precedenti ini­ziato il 26 settembre con la sen­tenza definitiva della Cassazio­ne, che per la prima volta con­danna senza condizionale un direttore di giornale. Per la pri­ma volta un giornalista viene ar­restato sul suo posto di lavoro. Sallusti viene caricato in auto e portato via. È già di per sé una scena che colpisce allo stoma­co. Ma la giornata ha in serbo di peggio. Un quarto d’ora dopo,via So­resina, la casa di Daniela San­tanchè dove Sallusti ha eletto domicilio. Qui, appena dopo es­sere entrato, il giornalista co­munica ai po­liziotti che in­tende violare gli arresti do­miciliari. È la decisione che aveva prean­nunciato, fin da quando la Procura ave­va chiesto d’ufficio per lui un beneficio che Sallusti non vuole, considerandolo un privilegio intollerabile rispetto al trattamento riservato ai dete­nuti comuni. Solo nelle ultime ore, Sallusti si era detto disponi­bil­e a rispettare le regole dei do­miciliari almeno per qualche giorno, in attesa che il giudice valutasse la sua istanza di revo­ca. Ma era una sorta di bugia a fin di bene, un modo per tran­quillizzare gli amici e evitare le pressioni di chi lo invitava a ac­cettare un esito meno traumati­co. Ma in cuor suo aveva già de­ciso di ribellarsi. E poco dopo es­se­re arrivato nella villa di via So­resina si avvia verso la porta d’uscita: «Esco». A questo pun­to il fair play che aveva governa­to l’arresto in redazione salta. I poliziotti si comportano, inevi­tabilmente, come poliziotti di fronte a un tentativo di evasio­ne in corso. Lo precedono sulla porta, dove proprio in quel mo­mento si sta infilando Daniela Santanchè, e lo afferrano per un braccio, lo portano verso l’auto di servizio:«Direttore sal­ga in macchina», gli ordinano. «È voluto uscire, non è stato in casa e quindi lo stiamo portan­do dentro » dice uno dei funzio­nari. Il giornalista viene arresta­to per evasione. C’è appena il tempo di chiedergli: direttore, dove ti portano? In carcere? «Spero di sì». È la fine brutale di un caso che per due mesi né la politica né la giustizia sono riu­scite a disinnescare. Alessandro Sallusti viene por­tato in questura, negli uffici del­la Digos. Gli vengono prese le impronte digitali. Foto di faccia e di profilo. «Non ce l’ho con voi, vi rispetto, avete fatto il vo­stro dovere», dice al questore Luigi Savina e al capo della Digos Bruno Megale. La «fol­lia » che aveva denunciato nei momenti dell’arresto non è, spiega Sallusti, della polizia ma della magistratura che l’ha con­dannato per un articolo che non ha mai scritto. Ed è dalla magistratura che ieri in questu­ra attendono indicazioni. In te­oria, potrebbe scattare una semplice denuncia a piede libe­ro. Invece dalla Procura arriva la disposizione: arrestatelo. E portatelo in tribunale che lo processiamo subito. Così la giornata più lunga di Alessandro Sallusti finisce nel­lo scenario surreale del Palazzo di giustizia deserto del sabato pomeriggio, nell’aula al pian terreno dove si tengono le udienze di convalida e i proces­si per direttissima. C’è ancora un giudice che sta finendo di giudicare un rapinatore, ed è davanti a lui che viene portato Sallusti. Con lui c’è il suo avvo­cato Valentina Ramella, poco dopo arriva il deputato Ignazio La Russa, che viene nominato anche lui difensore di fiducia. Sallusti viene interrogato. Spie­ga di non avere avuto alcuna in­tenzione di fuggire per darsi al­la latitanza, ma semplicemen­te di avere voluto dimostrare il suo rifiuto di una misura ingiu­sta. Nei prossi­mi giorni, spiega, inten­do rispettare le regole che mi sono state imposte. Non evaderò più. Davanti a que­sto impegno, la Procura ri­nuncia a chie­dere il carcere, accontentando­si di un secondo provvedimen­to di arresti domiciliari. Il giudi­ce accoglie. E rinvia il processo al 6 dicembre: quel giorno si sta­bilirà se davvero Sallusti abbia cercato di evadere o se invece ­come sembrano testimoniare i filmati - si sia appena avvicina­to alla porta, e sia stato procedu­to sul marciapiede da almeno uno dei funzionari di polizia. Poco dopo le 16 è tutto finito. Un’auto senza insegne riporta Sallusti in via Soresina. Da que­sto momento, il direttore del Giornale inizia ufficialmente a espiare agli arresti domiciliari la sua pena per diffamazione. Ma- e questo non era scontato­i vincoli imposti dal giudice di sorveglianza sembrano con­sentirgli di svolgere almeno in parte il suo lavoro. Il provvedi­mento del giudice Brambilla (e quello identico emesso ieri, i do­miciliari- bis per l’accusa di eva­sione) stabilisce per Sallusti «l’obbligo di trattenersi in via continuativa presso il domici­lio », il divieto ( sic ) di «detenere sostanze stupefacenti o armi» e di «ricevere presso la suddetta abitazione persone diverse dai propri familiari»; ma gli consen­te «di uscire per soddisfare le proprie indispensabili esigen­ze di vita dalle ore 10 alle ore 12 di ogni giorno». E non viene im­posto nessun tipo di divieto di contatto telefonico con l’ester­no. Potrà parlare, ricevere mail, scrivere, lavorare al com­puter. Potrebbe sembrare, insom­ma, un esito soft della vicenda. Se non fosse che ad Alessandro Sallusti- ed è ritornato a ribadir­lo ieri - non va bene. Così come gli sono stati concessi, i domici­liari sono un privilegio che non vuole. Non evaderà più, alme­no per ora. Ma domani mattina i suoi legali depositeranno al giudice di sorveglianza istanza di revoca dell’ammissione agli arresti domiciliari. Abbiate il co­raggio di mettermi in carcere, dice il nostro direttore.