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 2012  novembre 30 Venerdì calendario

E New York per un giorno dimentica la violenza - Tutti conoscono il detto: un cane che morde un bambino non è una noti­zia, un bambino che morde un cane è una notizia

E New York per un giorno dimentica la violenza - Tutti conoscono il detto: un cane che morde un bambino non è una noti­zia, un bambino che morde un cane è una notizia. Ebbene, pos­siamo fare progressi su questa strada. Ieri a New York si sono registrati undici omicidi, cin­quanta furti con scasso e due ra­pine non è una notizia, mentre ieri a New York per la prima vol­ta nella sua storia secolare, non è successo assolutamente nul­la. Voi direte: è una notizia? Cer­to che lo è. New York è associata da sempre a un alto tasso di vio­lenza ed è molto tempo che la violenza va scemando anziché aumentare. Dunque il record di ieri, un’intera giornata senza un colpo di pi­stola o una ve­trina fracassa­ta, ha un suo trend, o come si dice orren­damente oggi un suo per­ché. Certo, può anche darsi che il tifone, l’uragano di Halloween ab­bia la sua re­sponsabilità in quest’ondata di buonismo, nel senso che i cittadini della grande mela hanno tanto da fa­re per ricostruire le loro case da non aver tempo per dedicarsi ad attività illegali. Ma siamo sempre più lontani dal modello Guerrieri della Notte che ha im­perversato cinematografica­mente sull’immagine di Manhattan, del Bronx e di Har­lem. E a proposito di Harlem, ricor­do che quando ero un giornali­sta della Stampa residente a New York un giorno un redatto­re capo italiano mi disse: «Sta­notte vai ad Harlem, portati un fotografo e documenta l’infer­no del ghetto nero, gli scontri, gli inseguimenti, le rapine e gli omicidi. Non riuscii a convin­cerlo che l’Harlem che aveva in testa era quella dei libri e dei film di mezzo secolo fa, ma fu ir­removibile. Così andai ad Har­lem dove i pacifici cittadini dor­mivano il sonno dei giusti, sal­vo quelli che si stavano diver­tendo nei pub o nelle sale da bal­lo. Harlem oggi è una città liber­ty prevalentemente in villini di mattoni rossi, non è soltanto ne­ra e non vi accade nulla di spe­ciale rispetto a quel che accade sotto la centesima strada. Così convinsi il mio giornale a lasciarmi scegliere una zona veramente pericolosa e anda­m­mo un una zona del Bronx dove si sparavano volentieri fra do­minicani e salvadoregni. A New York le guerre per bande sono guerre etniche fra emigra­ti di tutti i paesi del mondo e una volta si vedevano guerre in­terminabili fra italiani e neri, ir­landesi e italiani, tedeschi e rus­si, ebrei e irlandesi e così via. Quando andammo nel piccolo distretto della guerra fra domi­nicani e salvadoregni, io e un amico cameramen, trovammo seduto sul ciglio del marciapie­de e in attesa di un’ambulanza un vecchio dominicano che si era preso ben sette revolverate e si rifiutava di stendersi a terra. Aveva l’aria meditabonda e san­guinava come una fontana. Ma il vero spettacolo fu quel­lo­di Rudolph Giuliani e la sua li­nea intransigente di «zero tole­rance », tolleranza zero. In Ita­lia facevano credere che questa tolleranza zero fosse l’equiva­lente di uno stato di polizia, in­vece fu una cosa pacifica e intel­ligentissima. Le macchine del­la polizia e degli assistenti socia­li, insieme, si parcheggiavano ai limiti delle aree criminali e trattavano, parlavano, davano assicurazioni e aiutavano. Chi accettava il programma vedeva cancellati i suoi peccati giudi­ziari e ricominciava da zero. Gli spacciatori accettarono, prosti­tute se ne andarono, i negozi a luci rosse chiusero e il valore del real estate, degli immobili, schizzò in alto per milioni di dol­lari. Improvvisamente migliaia di persone che vivevano di sten­ti si ritrovarono milionarie, le aree furono bonificate, furono aperte scuole pubbliche eccel­lenti e la malavita, la violenza, regredirono. Quando parlavo di questo con amici italiani si mettevano a ridere sarcastica­mente ostinandosi a credere che la tolleranza zero fosse una variante del nazismo, e invece fu soltanto una grande trovata del «sindaco d’America» come lo definì Time Magazine dedi­candogli la copertina dopo l’11 Settembre, quando Giuliani si gettò fra le macerie lavorando più di tutti, dirigendo, confor­tando, organizzando e dando insieme uno spettacolo di gran­dissima umanità e di tecnica amministrativa eccezionale. E l’attuale sindaco di New York il miliardario Bloomberg, magnate televisivo e politico, sta facendo un analogo lavoro di conquista civile della città. È un sindaco amatissimo quasi quanto lo è stato Giuliani e ha af­frontato con grande prontezza l’uragano, è stato continuamen­te­sul canale cittadino della tele­visione e dava consigli pratici: «Cari amici, adesso voi vi fate un bel panino, abbassate le tap­parelle, chiudete bene tute le porte, se va via la luce non vi im­pressionate ma finché c’è la lu­ce leggetevi un buon libro, e an­che due». Ha infuso la calma, ha organizzato magnificamen­te i soccorsi, le ambulanze, i punti di ritrovo e di primo inter­vento, fatto funzionare i pronto soccorso, fornito gruppi elettro­geni e infuso nella catastrofe il massimo di fiducia che si pote­va infondere. Dunque, ripartendo dal cane che morde il bambini, si direb­be che New York è stata sottopo­sta ad una lunga, intensa cura di riabilitazione, di fiducia e di organizzazione, senza ricorre­re a metodi draconiani, ma usando la civiltà, l’autorevolez­za, il dialogo. C’è un dettaglio: la corte, il tribunale, a New York siede in permanenza ventiquat­tro ore su ventiquattro. Arresta­no un rapinatore alle quattro e alle cinque è davanti al suo giu­dice, in genere patteggia e va in galera a scontare la pena mini­ma. Ma la giustizia funziona co­me un servizio pubblico, come gli ospedali e persino come le scuole pubbliche delle zone meno ricche, che crescono in qualità e competono come quelle dei quartieri alti dal co­sto milionario. Dunque, sì, il bambino che morde il cane so­lo in apparenza è una notizia stravagante, perché in realtà il laboratorio umano fra Hudson e mare aperto che si chiama New York City sa sorprendere se stesso così come sorprende tutto il mondo.