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 2012  dicembre 05 Mercoledì calendario

MILANO — «C»

o «G»? Crisi o Grisi? Il retroscena della gazzarra alla «prima» della Filarmonica è racchiuso in una gutturale. Il concerto diretto da Daniel Barenboim, con solista il mezzosoprano Cecilia Bartoli — che tornava alla Scala dopo 19 anni (era stata Zerlina nel Don Giovanni di Muti) e a Milano dopo una decina (aveva cantato Salieri per il Quartetto) — era filato via tranquillo con Händel e superato Mozart. Nell’intervallo qualche critico già storceva il naso sulla sua interpretazione, ma nulla lasciava prevedere la gazzarra che stava per arrivare. Dopo l’intervallo, al termine di «Nacqui all’affanno… Non più mesta» dalla Cenerentola di Rossini, infatti, è scoppiata la bagarre: tra gli applausi si sono fatti largo «buuu» assordanti e ai «brava» si sono opposti i «vergogna», «tornatene a casa». Ed è stato allora che qualcuno, dai palchi o dalle gallerie, ha anche gridato: «Vergogna in stato di crisi» (in riferimento al presunto cachet chiesto da Bartoli) o, forse, «Vergogna, sono stati quelli della Grisi» (in riferimento a un blog di melomani amanti dell’opera dell’Ottocento). Su questa consonante, mentre Barenboim rimproverava in malo modo il pubblico («Questo è uno spettacolo, per cui zitti»), è scattato l’immancabile retroscena pop dell’opera italiana: contestazione spontanea oppure organizzata quella versus Bartoli?
Lei, diva nelle espressioni, una voce definita dai molti più adatta alle incisioni che a un grande teatro, ha risposto sul palco con un pizzico di provocazione bissando proprio «Non più mesta». Poi ieri ha aggiunto: «È stata una grande serata! Sono commossa dal caloroso benvenuto del Maestro Barenboim, della Filarmonica e dello staff scaligero che mi hanno fatto sentire davvero a casa. La sala era piena di fermento e di eccitazione, con un tutto esaurito dalle prime ore di vendita: una grande atmosfera e un momento memorabile. Il Maestro Barenboim mi ha detto che le porte della Scala sono sempre aperte per me. Sono onorata, non vedo l’ora di tornare molto presto!». Gli storici melomani, invece, si sono divisi sin dall’uscita dal teatro. I più noti loggionisti scaligeri, quelli come Luisa Mandelli («Annina» con la Callas), Adriano Oliva e gli altri melomani non hanno apprezzato Bartoli, ma dicono di «non aver né buato, né fischiato»: se ne sono stati senza applaudire. Come oggi vuole il politically correct operistico e come molte signore-bene si affrettavano a sottolineare nel foyer.
Ma chi ha «buato», allora? Secondo fonti della Scala, una ventina di persone avrebbe lasciato il teatro subito dopo la contestazione (questo accrediterebbe la tesi di qualcosa di organizzato). Gabriele Baccalini, storico loggionista, assente l’altra sera, riferisce di una voce raccolta ma non provata secondo la quale «potrebbero essere stati quelli del "Corriere della Grisi"», melomani riuniti in un blog che «tutela l’antica arte del canto». Chi vi scrive usa come nickname interpreti della lirica dell’800: si va da Giuditta Pasta a Giulia Grisi (1811-1869). Ad animare questo blog sono un avvocato e la moglie. Altre associazioni scaligere, come gli Amici della Scala, hanno preferito non entrare nella bagarre. Quanto all’altra interpretazione della frase udita, ovvero «Vergogna in stato di crisi», la Filarmonica rigetta l’allusione: il cachet di Bartoli, sostenuto da sponsor, non sarebbe stato altissimo ed è stato devoluto alla sua associazione per cantanti. Il direttore artistico della Filarmonica, Ernesto Schiavi, smorza le polemiche: «La Filarmonica ringrazia il Maestro Barenboim e Cecilia Bartoli per il concerto. Un incontro artistico d’eccezione che ha richiamato un pubblico foltissimo ed ha riscosso straordinario entusiasmo dalla grande maggioranza dei presenti».
Pierluigi Panza

RECENSIONE DI PAOLO ISOTTA. LE AMERICANATE DI CECILIA
U n pubblico fanatizzato ha accolto l’altra sera il concerto della Filarmonica della Scala diretto dal maestro Barenboim con la partecipazione della cantante Cecilia Bartoli. Il fanatismo che dimostra solo la soggiacenza del pubblico alle americanate di questa professionista ha provocato una reazione di dissenso in quella parte del pubblico dotata di maggiore capacità critica.
Le americanate si manifestano in un continuo girarsi della professionista verso il direttore, l’orchestra e i solisti, in un’assunzione di attitudes, presunte in armonia con l’ethos dei brani interpretati, a dir il vero ridicole. Meglio avrebbe fatto la Bartoli a curare l’intonazione.
La Bartoli ha una buona fonazione. Anche latina, come si è visto nel celebre Exultate, jubilate di Mozart. La voce è piccola, le colorature meccaniche, le cadenze inopportune. È tuttavia, ripetiamo, una professionista che possiede il repertorio a memoria e lo interpreta con disinvoltura. Ammirevole è il suo simulare facilità e gioia in difficoltà tecniche da atterrare ogni collega. Il pubblico fanatico che le ha decretato ovazioni da stadio che cosa avrebbe fatto se si fosse trovato, nel repertorio di Händel e di Rossini, di fronte a Joan Sutherland e Marilyn Horne? Molto palesemente le sconosce.
Il maestro Barenboim ha accompagnato meravigliosamente. Il suo Händel è di stile classico, con «vibrato» giusto, né troppo né troppo poco. Nella grande Passacaglia Lascia la spina, che diventerà il celeberrimo Lascia ch’io pianga del Rinaldo, anche le pause erano piene di musica. Atto di cultura da parte della Bartoli l’aver scelto la versione prima della sublime Aria, quella proveniente dal romano Trionfo del Tempo e del Disinganno.
Tanto ci è piaciuto il Händel del maestro Barenboim, evidentemente non in linea con i gusti della Bartoli, indefessa consumatrice di strumenti antichi e roba simile. Saremmo tentati di chiedere al musicista di interpretare il Messia, potendo egli giovarsi del maestro Casoni a preparare il coro, saremmo sicuri dell’esito felice.
In Händel abbiamo apprezzato anche l’elegante realizzazione del basso continuo, dovuto al maestro Sergio Ciomei. Nel Mottetto di Mozart vi era l’organo elettrico, che andrebbe bene, come è ovvio diversamente registrato, per la Tempesta dell’Otello e la Sinfonia di Saint-Saëns . È inconcepibile che la Scala non possegga un organo positivo, indispensabile per la stagione sinfonica.
Dell’orchestra si sono segnalati gli oboisti Fabien Thouand e Augusto Mianiti, il trombettista Francesco Tamiati. Anch’essi hanno suonato in uno stile classico, non baroccaro. Ricordiamo anche l’arpista Olga Mazzia che ha accompagnato la Bartoli nella Canzone del Salice.