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 2012  novembre 22 Giovedì calendario

ENRICO RUGGERI - SE L’INCUBO SI AVVERA


Uno studio alla periferia di Milano, a un soffio dalla tangenziale, in un delta di strade affollate di corrieri e camion. Il pensatoio di Enrico Ruggeri, 55 anni, 30 album, è lì. Anche lui come tanti colleghi si è preso una vacanza dalla musica: ha appena pubblicato un giallo, Non si può morire la notte di Natale (Dalai editore). La storia? Una via di mezzo fra un bilancio della mezza età e un incubo. Il protagonista, un famoso attore, si risveglia senza più voce, forse in coma. Intorno a lui l’ex moglie in bilico fra odio e indifferenza, i due figli con cui ha un rapporto spinoso, una domestica pagata per accudirlo e una fan che bivacca in strada e, non conoscendolo, è l’unica che lo ama. Ha tentato il suicidio? Qualcuno ha cercato di ucciderlo?
Teme anche lei di perdere la voce?
Chi usa la parola è terrorizzato all’idea di non averla più a disposizione.
Si scrive per esorcizzare incubi?
Anche. Ogni volta che mi succede qualcosa, ci scrivo sopra una canzone e mi passa. Il mio precedente romanzo raccontava di un cantante che scrive una sola canzone.
Il personaggio ha i suoi difetti?
Mi piace guardare la parte peggiore di me, ma non sono egoista come lui. E provo umana compassione per le debolezze.
La cialtronaggine paga?
Qualche volta. E nessuno ne è immune. Si dice che gli egoisti vivano più a lungo degli altruisti.
Stavo per dire me lo auguro... Un po’ di egoismo è sano: se non stai bene tu, non puoi far stare bene gli altri.
Nel suo libro cita una massima di D’Annunzio: «lo ho quel che ho donato».
Un’estremizzazione. Nasconde la voglia di possedere gli altri e non è bello. Però, siamo sinceri, chi non la applica? Dà un certo gusto sapere che chi ti è intorno è in debito con te.
Altre paure?
Svegliarmi e avere 18 anni.
Ma questo è bellissimo!
No, se non hai la certezza che tutto ti andrà bene. Oggi è più difficile, c’è il superenalotto dei talent show. Ho fatto il giudice a X Factor e so cosa dico. Si privilegia chi canta bene, però chi dura non è chi ha la voce più bella, ma chi ha più cose da dire. Come Vasco, Ligabue, Battiato o Conte.
A lei invece è andata bene.
Accidenti sì, perché le case discografiche avevano il tempo di aspettarti e investire su di te. Chi l’avrebbe detto, quando avevo 15 anni? Facevo il classico, al liceo Berchet, a Milano. Gli eroi erano: quello che parlava in assemblea, il più ricco (spesso i due ruoli coincidevano), quello con la moto grossa, il bellissimo, il campione di salto in alto. Io lì in mezzo non c’ero. Ma a un certo punto sono diventato Ruggeri, quello di II H, quello che suona.
E ha cominciato a segnarsi in agenda, come nel romanzo, le conquiste con il pallino nero?
Ho un po’ più di senso etico del mio personaggio, ma avrei potuto arrivarci. Il successo una mano con le donne te la dà.
Ed è un bel vestito da indossare.
Da ragazzo non pensavo di farne una professione. Timido e con gli occhiali, senza la musica si sarebbe messa male.
Mai sedotto dalla politica?
Fossi nato qualche anno prima, mi sarei imbarcato negli anni formidabili, ma i miei tempi, a metà degli anni 70, erano già bui. Il sogno e l’avventura di cambiare il mondo erano tramontati per lasciare spazio a un violenza cupa.
Meglio la musica.
Può scommetterci. Lou Reed, il punk, David Bowie. O i Clash, più tardi. Li ascolto ancora. Mi sono domandato spesso: ma se io avessi fatto politica sarei diventato ingordo come questi che stanno al potere? Non posso credere che tutti abbiamo iniziato dicendo: entro nel partito così divento ricco. Forse il meccanismo è più forte dell’individuo.
Mai incontrato qualcuno dei suoi miti?
Ho intervistato Lou Reed. Mi guardava e si vedeva che pensava: «Ma tu che ne sai di quello che ho passato io?». Cioè elettrochoc, droghe, dipendenza, amori tormentatissimi con dozzine di donne.
A cena chi inviterebbe?
David Bowie, uno a cui piace cambiare e che non fa concessioni. Come Bob Dylan.
Cosa racconterà nel prossimo album?
Ho parlato di ogni cosa, amori di tutti i tipi, amicizie, gay. Forse racconterei l’anomalia contemporanea: nessuno vuole più morire, nessuno vuole più invecchiare.
Lei ha un figlio di 22 anni e due bambini di sette e due. Con chi è stato un padre migliore?
Non c’è dubbio: al secondo giro. Consiglierei alle donne di fare figli solo con uomini che hanno più di quarant’anni. Prima siamo dei bambini che vogliono vivere nel Paese dei balocchi.
Cinquant’anni di saggezza? Questione di carattere. Non mi esalto di fronte alle vittorie e non mi chiudo a riccio sulle sconfitte. Non sono bello e maledetto, cosa che darà meno emozioni, ma alla lunga si rivela una gran fortuna. Ho fatto troppa tv e troppi Sanremo, avrei dovuto essere più prezioso. Mi dispiace quando citano i grandi cantautori e io non ci sono. Ma mi piace così tanto il mio lavoro che vado dappertutto. Nell’ultima vacanza avevo ancora il secchiello e la paletta. Da trent’anni vivo di musica e non faccio nulla senza un pretesto di lavoro.
Povera chi le sta vicino.
Ma no, non sono molesto. Mi metto in un angolo e strimpello. Sarà che mi ricordo dai tempi della scuola che quando Cesare andava a fare una campagna in Africa, tornava e come minimo gli avevano ammazzato due senatori e rubato una provincia.
«Amare significa esagerare le differenze fra una persona e il resto del mondo», scrive nel suo romanzo. Significa che passata l’ebbrezza la delusione incombe?
A vent’anni ami esagerando, a 50 ami la persona che ti fa stare bene. Chi ama e soffre o è molto giovane oppure sta sbagliando qualcosa.
Indenne dal mal d’amore?
La gente non è mai contenta. Secondo me, prima di separarsi, vai la pena di riprovarci. Solo Brad Pitt può buttare a monte una storia perché «non prova più la sensazione dei primi giorni». Se fai il magazziniere o sei Enrico Ruggeri, meglio pensarci due volte prima di parlare come lui.