Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 04/12/2012, 4 dicembre 2012
LOUVRE IN PROVINCIA, CAPOLAVORI A ROTAZIONE —
Farmacie e poi farmacie e ancora farmacie. Mai viste tante farmacie nel raggio di poche centinaia di metri. Sono i residui, spiegano, di una terra malata. Dove i minatori che picconavano il carbone avevano gli occhi rossi come braci ed erano divorati dalla pneumoconiosi e tossivano anche l’anima e chiedevano alle pasticche e agli unguenti qualche sollievo al calvario.
Eppure, vent’anni dopo la chiusura delle miniere, con una disoccupazione altissima, un reddito procapite bassissimo, il morale a pezzi di chi ha visto morire un mondo fondato sulla fierezza dei gueules noires, i musi neri che si riconoscevano nello slogan Devenéz mineur, premier ouvrier de France (diventa minatore, il primo operaio di Francia), la cittadina di Lens, nella campagna più o meno a metà strada tra Parigi e Bruxelles, potrebbe uscire dalla sua agonia. Con una medicina tutta nuova: la cultura.
Oggi, giorno di Santa Barbara, patrona dei minatori, a tre anni esatti dal via al progetto, François Hollande taglia infatti il nastro della più interessante scommessa economica, culturale e sociale tentata negli ultimi decenni. Per rilanciare un’area degradata e in crisi comatosa, paragonabile alle zone più disperate del nostro Sud dopo il fallimento della industrializzazione forzata, lo Stato e soprattutto la regione del Nord Pas de Calais mettono una montagna di soldi non in stabilimenti e ciminiere, altiforni o autoclavi. Ma, udite udite, in un museo. Una specie di sede distaccata e diversa del Louvre, che coi suoi quasi nove milioni di visitatori l’anno ed entrate proprie per 125 milioni di euro (nonostante i giovani fino ai 26 anni entrino gratis) è saldamente al comando tra i più grandi musei del mondo.
Collocato nel cuore della cittadina, in un’area abbandonata al degrado e oggi fangosa dopo mesi di passaggio di ruspe e trattori, ma destinata in primavera a diventare un magnifico polmone verde tutto alberi, fiori, siepi e vialetti, il nuovo Louvre-Lens progettato dagli architetti giapponesi dello studio Sanaa e per la parte esterna dalla paesaggista francese Catherine Mosbach, rappresenta il rovesciamento della miniera. Là dove c’erano il buio, l’oscurità, la notte perenne, le gallerie dai soffitti neri da incubo dove i minatori dovevano lavorare inginocchiati, oggi c’è una struttura adagiata nel parco quasi tutta trasparente, dai soffitti altissimi, dalle pareti luminose.
Il Louvre-Lens, che sarà aperto al pubblico il 12 dicembre, ospita di tutto. Un grande laboratorio dove i visitatori potranno vedere i restauratori al lavoro, un auditorium da 300 posti per la musica, il teatro, il cinema e i convegni, un padiglione di vetro, inaugurando con una deliziosa raccolta curata da Pierre Yves Le Pogam sui tempi del tempo (tra le chicche due autoritratti di Alexandre-Denis Abel de Pujol: che prima vede se stesso come un ribelle scapestrato, poi come un bravo borghese soddisfatto) e una galleria per le mostre temporanee da alternare con quelle della casa madre parigina. Quell’iniziale, impreziosita tra l’altro dal capolavoro «Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino» di Leonardo da Vinci e dal celeberrimo «Ritratto d’uomo» di Giovanni Bellini, è sul Rinascimento.
Il cuore del museo, però, quello che punta ad attirare visitatori dall’Olanda, dalla Germania, dall’Inghilterra, dal Belgio e da tutta Europa, è la Grande Galleria. Dove le statuette votive e i sarcofaghi, le statue di marmo e le decorazioni orientali, le ceramiche, le pale e i quadri, tra i quali spiccano il ritratto dedicato da Raffaello a Baldassarre Castiglione e quello che Ingres dedicò a Louis François Bertin, sono disposti in ordine con lo scorrere del tempo dall’antichità fino al 1848. Non un ammasso sterminato di opere cacciato a tutti i costi dentro lo spazio e capace di stremare per il sovraccarico ogni visitatore, ma un paio di centinaia di opere scelte. Esposte in modo da esaltare di ciascuna la qualità e la bellezza. Opere che verranno fatte girare a rotazione ogni cinque anni, salvo eccezioni. Quale ad esempio «La libertà che guida il popolo» di Eugene Delacroix, del quale già a Parigi sentono la nostalgia…
Quanto è costato il nuovo gioiello? «Centocinquanta milioni o poco più di euro», risponde il presidente socialista del Nord Pas de Calais, Daniel Percheron, che si picca di essere un grande appassionato d’arte e di calcio, «Più o meno come l’acquisto di un paio di Pastore, l’argentino comprato dal Paris Saint Germain». Un sacco di soldi, di questi tempi: «Cosa dovevamo fare? Questa è l’area più povera di tutta la Francia. Non c’è industria, non c’è niente. Da questo museo ci aspettiamo una impennata almeno di 40 o 50 milioni l’anno. Quattro anni e andiamo in pari. Rilanciando tutta la zona».
Il progetto messo a punto dal governo, dalla regione e dal Louvre, che fornisce solo le opere e il know how senza mettere un centesimo, è addirittura più ambizioso. E prevede una spesa complessiva finale intorno ai 200 milioni di euro, che dovrebbero mettere in moto una girandola di nuove attività economiche capaci di fare ricadere sul territorio, in un arco di tempo non lungo, un miliardo e 400 milioni di euro. Con una moltiplicazione per sette volte di ogni moneta investita. Un sogno? Neanche tanto, a vedere quanto è successo a Bilbao. Dove è andata ancora meglio, al di là di ogni più rosea previsione.
Sulle prime la gente di Lens, diffidente verso «i parigini» e l’ipotesi che il loro tran tran quotidiano possa essere sconvolto dall’arrivo di mezzo milione di turisti l’anno, quota minima prevista, non si è precipitata affatto a tentare d’inserirsi nell’affare. E lo stesso sindaco, Guy Delcourt, un vecchio socialista brontolone verso tutto ciò che sa di modernità, non era poi entusiasta dell’iniziativa. Il rispetto dei tempi prefissati e la bellezza dei capolavori spostati da Parigi in questa terra fino a ieri dimenticata da Dio, però, avrebbe travolto ogni pregiudizio. «Le richieste di nuove licenze per aprire alberghi, bed&breakfast, caffè, trattorie, internet point e così via sono già oltre una settantina», spiega Claudia Ferrazzi, la giovane italiana sposata e madre di due bimbe che si è guadagnata il ruolo di administrateur général adjoint del Louvre, «E siamo solo all’inizio. Solo all’inizio. Vedrete più avanti…».
E noi qui, malinconici, a guardare. E ad ascoltare tutti i giorni il solito ritornello: c’è la crisi, bisogna tagliare, con la cultura non si mangia…
Gian Antonio Stella