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 2012  novembre 16 Venerdì calendario

QUANDO IL DOLORE SPEZZA IL CUORE DI MAMMA

[La perdita di un figlio fa salire la mortalità del 133%.
Mentre cresce solo del 30% quella dei vedovi. Inconsolabili] –

LA COGNIZIONE DEL DOLORE

L’argomento è doloroso, ma la scienza se ne occupa nel tentativo di capire e alleviare le sofferenze per quanto possibile. Uno studio americano su 69mila donne, durato nove anni, ha indagato su quella che forse è la più drammatica delle vicende umane: la perdita di un figlio. Come reagiscono, e in che misura, le madri di fronte a questo evento? Fin dove si ferma il dolore? Dai risultati è emerso che la mortalità delle madri che hanno perso un figlio aumenta del 133 per cento nei due anni successivi e questo senza distinzioni di età, cultura, ceto sociale. Come paragone, i ricercatori hanno portato un’altra statistica: la mortalità nei mariti che perdono la moglie aumenta, nel periodo immediatamente successivo al lutto, del 30 per cento.

I VECCHI EROI (DELLA MEDICINA)
NON MUOIONO MAI

Chi si rivede! La vecchia clorochina, usata per decenni allo scopo di combattere la malaria, sta ritornando sulla scena. Una scoperta dell’Università di Copenhagen, se i dati saranno confermati, racconta una storia sorprendente. La clorochina infatti era stata ormai quasi interamente abbandonata da anni perché le zanzare avevano imparato ad aggirarla secondo il più classico dei meccanismi naturali legati alla sopravvivenza. Al suo posto, negli ultimi tempi erano stati introdotti nuovi farmaci più potenti (e talvolta anche più tossici) oltre che più costosi, con qualche problema per la loro distribuzione nei Paesi poveri. Ora sembra che le zanzare abbiano ormai imparato a riconoscere le nuove sostanze, ma si siano “dimenticate” della vecchia clorochina, che dunque torna a essere efficace. Oggi almeno il 70% delle zanzare del Senegal (ma accade anche in altri Paesi) vengono neutralizzate da questo farmaco che si pensava ormai inefficace.

IL “LIBRO” DI UN MILIONE E MEZZO
DI ANNI FA

In un pezzo di cranio largo circa cinque centimetri e appartenuto a un bambino vissuto in Tanzania un milione e mezzo di anni fa, gli antropologi ritengono di aver trovato la risposta a uno dei grandi misteri dell’evoluzione umana: quanto ha contribuito il consumo di carne a creare l’Homo sapiens? Per qualcuno è stata (e lo confermerebbe appunto il reperto) una tappa fondamentale: mangiando più carne, si è sviluppato maggiormente il cervello in rapporto alla massa corporea. Il cervello è un organo molto “caro” da mantenere, e l’apporto di proteine diventa determinante. Quel pezzetto di cranio rileva che il bambino in questione morì proprio per la mancanza di carne. Per gli scienziati è il segno indiretto che già a quel tempo gli uomini ne erano consumatori e la carne era diventata un elemento essenziale.