Silvia Nani, Corriere della Sera 4/12/2012, 4 dicembre 2012
Una scultura da un tronco d’albero: la dea madre, l’antenata primordiale secondo gli Iatmul di un villaggio in Nuova Guinea, raffigurata nella posizione del parto
Una scultura da un tronco d’albero: la dea madre, l’antenata primordiale secondo gli Iatmul di un villaggio in Nuova Guinea, raffigurata nella posizione del parto. Atto finale che dà origine alla specie e introduce (e suggerisce) un percorso, tra fisicità e sofisticato gioco intellettuale. È lei ad accogliere il visitatore alla mostra «Kama. Sesso e Design» (alla Triennale, da domani fino al 10 marzo), oltre 200 tra oggetti, reperti archeologici, fotografie e opere site-specific di artisti e designer internazionali che scandagliano il rapporto tra eros e progetto. Ideatrice unica e curatrice Silvana Annicchiarico, direttore del Triennale Design Museum. Scelta coraggiosa, la sua, facile immaginare che scatenerà il dibattito. Impossibile rimanere indifferenti: aggirarsi tra le sale richiede (oltre allo status di maggiorenni) la sensibilità di uno sguardo che sa andare oltre la pura osservazione di raffigurazioni dagli espliciti riferimenti sessuali. «Lo sforzo maggiore è stato riflettere su una selezione scientifica, lontana quanto più possibile dal gadget, dalla trovata di marketing», sottolinea Annicchiarico, al lavoro da oltre un anno per stilare la selezione dei pezzi. Un’indagine esistenziale, spiega, terza tappa dopo due esposizioni in cui il design era messo a confronto con la morte e il tempo: «In questo momento storico ritengo che un museo non debba solo dare risposte per soddisfare un bisogno, e forse un sogno. Ma soprattutto interrogarsi su un tema nevralgico che ci riguarda tutti». Voyeurismo alimentato dal bombardamento mediatico, tra pruderie e tabù (infranti), così ancora oggi la visione collettiva del sesso: «Basti pensare agli scandali politici del bunga-bunga o il fenomeno delle "Cinquanta sfumature di grigio". Questa invece vuole essere un’occasione per raccontare come la storia del progetto abbia affrontato il tema con trasparenza e, a volte, persino sacralità». Cuore della mostra è la sala centrale, mosaico di pezzi antichi e recenti suddivisi per tipologie: «Raggruppati su tavoli anatomici, come un corpo dissezionato. Partendo dai reperti — spiega Annicchiarico —. Dai tintinnabula ai decori fallici, nell’antichità si usava popolare le abitazioni con questi soggetti: espliciti sì, ma lontani dal significato erotico con cui noi oggi li identifichiamo. Erano invece apotropaici, propiziatori, a volte inducevano il sorriso». Furono le religioni, il razionalismo, il Movimento Moderno ad abolire la dimensione legata alle pulsioni, a espellere il corpo dal progetto: «Qui oggetti e arredi rappresentativi degli organi sessuali maschili e femminili sono raccontati in quanto elementi che pulsano e danno la vita». Se di alcuni la lettura è immediata, per altri — come la chaise longue degli Eames o il Butterfly Stool — il messaggio è spiazzante: «A volte l’iconografia femminile c’era, ma ho spinto sull’interpretazione anatomica di un foro, di una fessura». Ultima sezione, «Erotic Food Design» («Secondo la logica di una scena da banchetto, oggetti da tavola e cibi noti o riletti come parti del corpo»). Tutt’intorno, pareti che fanno da galleria, con specchi, fotografie e raffinati disegni erotici, da Carlo Mollino a Fornasetti, a Ettore Sottsass. La contemporaneità: l’interpretazione del sesso attraverso otto installazioni di altrettanti artisti e designer, divise ai due lati del percorso. Karma, di Andrea Branzi, è la prima, forse la più intellettuale: «Pannelli tridimensionali con iconografie dal passato che si trasformano in oggetti d’uso: volevo introdurre una frattura nell’autoreferenzialità del design d’oggi e dire che occorre ristabilire un rapporto vero con la realtà», dice l’autore. Piani di lettura concettuali ma soprattutto esperienziali, come i sussurri di Chuchotements (Bisbigli) di Matali Crasset. «Una biblioteca di libri erotici introduce la stanza da letto, una voce che legge frasi d’amore con voce sommessa che diventa più nitida mano a mano si avanza — spiega la designer —. Rappresenta il preambolo dell’atto d’amore, la testa, quell’ingrediente psicologico a volte più importante dell’istinto». E poi le opere di Lapo Lani, Nendo, Betony Vernon, Nacho Carbonell, Italo Rota, Nigel Coates. A chiudere il percorso Silvana Annicchiarico ha voluto la statua dell’antenato, grande figura maschile divinizzata dalla virilità esibita: «Per dire che la sessualità non è da vivere come un eterno rimorso e materia di scandalo ma come una pratica gioiosa e necessaria a una vita vitale». Silvia Nani