Marinella Venegoni, La Stampa 4/12/2012, 4 dicembre 2012
Si può dire che è un album personale? Trattandosi di Mina, e della sua personalissima visione del mondo musicale, ogni album lo è
Si può dire che è un album personale? Trattandosi di Mina, e della sua personalissima visione del mondo musicale, ogni album lo è. Ma questa volta c’è una sfumatura sentimentale in più, visto che la madre di tutte le cantanti si è abbandonata, per i suoi numerosissimi adepti, addirittura ad alcune memorie (ovviamente solo scritte, e in una breve nota), legate al repertorio di standard yankee che popola 12-American Song Book , in uscita oggi. É una raccolta il cui numero di brani è ispirato ai vecchi vinili che avevano sei canzoni per facciata. Un lavoro coraggioso e per niente «popolare», non tanto per le scelte rigorosissime nel repertorio (che va dagli Anni ’30 ai ’70 del secolo scorso, da Just a Gigolo aFire and Rain di James Taylor, passando per September Song di Weill e persino Love me tender di Elvis), quanto per l’interpretazione smooth e gli arrangiamenti jazz. Una morbidezza accanita insiste su brani conosciuti in altre versioni, come appunto Just a Gigolò : un filo di voce, poche note fulminanti di feeling con i collaboratori Danilo Rea, Massimo Moriconi, Alfredo Golino e l’arrangiatore preziosissimo Gianni Ferrio, da lei definiti «i miei adorati... che sono, senza discussione, tra i migliori al mondo». Ne è uscita una prova che dovrebbe essere recapitata con ricevuta di ritorno ai coach dei talentshow: perché la più potente voce italiana è lieta di colpire sussurrando, consapevole forse di regalare un’autentica pelle d’oca. Ricorda dunque Mina le sue passioni giovanili: «Non avevo dischi italiani. Se si esclude Non illuderti di Marino Barreto, che poi era cubano. Solo americani. E fino alla rivoluzione Elvis, che ha “sparecchiato” esclusivamente Frank Sinatra, Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan, Nat King Cole e anche i minori di quel periodo». E dopo aver sfiorato una passione per il flamenco, parla della forza della memoria: «Quei pezzi mi sono rimasti nel sangue... Non sono mai impalliditi, non mi hanno mai lasciato». Scrive di essersi avvicinata con cautela: «Non dimenticando che sono stati nella gola dei più grandi maestri del passato dai quali ho imparato tutto». E confessa: «Questa volta mi sono abbandonata completamente. Senza pensare al prima e al dopo. Mi sono messa in sala e ho liberato la mente, l’anima, il cuore e la passione ignorando l’armatura stretta che ti obbliga a dover usare i tuoi strumenti naturali in modo commerciale. Detesto quelli che, intervistati, dicono: “Ah come mi sono divertito”. Stavolta anch’io devo dirlo. Mi sono proprio divertita».