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 2012  dicembre 04 Martedì calendario

L’ ultimo primo ministro italiano il cui cognome iniziava con la lettera «B» - Berlusconi - è stato un disastro

L’ ultimo primo ministro italiano il cui cognome iniziava con la lettera «B» - Berlusconi - è stato un disastro. E’ probabile che inizierà con la B anche il nome del prossimo leader. Gli investitori vogliono che Monti, il tecnocrate che ha preso il posto di Berlusconi l’anno scorso, resti primo ministro dopo le elezioni, che si terranno probabilmente a marzo. Ma più probabilmente si troveranno il leader della sinistra, Pierluigi Bersani, del Partito democratico. Anche se ci sono dei rischi, un simile risultato potrebbe non essere così male come appare - anche perché Bersani ha promesso di continuare con le politiche di Monti ed è stato uno dei pochi riformatori quando Romano Prodi era primo ministro, lo scorso decennio. Bersani, appoggiato dai sindacati, sarà il portabandiera per la sinistra alle prossime elezioni dopo aver vinto nel fine settimana le decisive primarie contro Matteo Renzi, il sindaco di Firenze fautore della modernizzazione. I suoi primi commenti sono stati promettenti: ha detto che il Pd deve dire agli italiani «la verità, non favole» sulla grave situazione economica del Paese. Che cosa succederà dopo è oggetto d’intrighi e febbrili speculazioni a Roma, dove ho trascorso parte della scorsa settimana. Riusciranno il Pd e i suoi alleati, la sinistra radicale di Sel - che collettivamente hanno un costante vantaggio nei sondaggi con il 36%, secondo Swg - a ottenere la maggioranza assoluta nelle elezioni? Oppure il Parlamento, ancora dominato dalla coalizione di centrodestra di Berlusconi cambierà il sistema di voto per negare loro questa possibilità? L’attuale legge elettorale garantisce alla coalizione con il maggior numero di voti almeno il 55 per cento dei parlamentari, ma ci sono all’esame vari schemi per tagliare il cosiddetto premio di maggioranza. Un altro argomento di speculazione è se Monti darebbe il suo appoggio a un nuovo movimento creato da Luca di Montezemolo, il presidente della Ferrari, il cui intento dichiarato è raccogliere voti sufficienti per garantire la continuità del governo dei tecnici. E che dire di Berlusconi, che a ottobre ha ricevuto una condanna di primo grado per frode fiscale? Riuscirà a rientrare nella mischia politica formando un nuovo partito? Infine, come si piazzerà Beppe Grillo, il comico che vuole il default per i debiti dell’Italia e l’uscita dall’euro? Il suo movimento Cinque Stelle, che sfida la categorizzazione dello standard sinistradestra, è attualmente al 20 per cento. La politica italiana è sempre pittoresca. Ma il voto non è uno scherzo. Nonostante la promessa della Banca centrale europea di fare tutto il possibile per salvare l’euro, l’Italia è ancora abbastanza vicina al precipizio finanziario. Se cade, trascinerà con sé il resto della zona euro. I principali problemi del Paese sono la recessione e il debito elevato. La Commissione europea prevede per l’Italia una contrazione su base annua del 2,3 per cento e che l’anno si chiuderà con un debito pari al 126 per cento del Pil. Secondo il governo l’economia tornerà a crescere nella seconda metà del prossimo anno. Ma la fiducia dei consumatori è a pezzi, l’investimento è ritardato dall’incertezza politica, le pregresse misure di austerità deprimono l’attività e i tassi di interesse sono ancora troppo elevati. Se l’economia non riesce a cambiare di segno, il debito salirà al di sopra del 130 per cento del Pil. Se, al tempo stesso, l’Italia avrà un governo che non si è impegnato per la riforma, gli investitori potrebbero di nuovo innervosirsi. E’ difficile prevedere cosa succederà nella politica italiana, dato il gran numero di parti in gioco. Detto questo, la destra è talmente allo sbando che è improbabile possa avere un ruolo importante alle prossime elezioni: il vecchio partito di Berlusconi, il Pdl, nei sondaggi è al 14 per cento, la sua ex alleata, la Lega Nord, solo al 6 per cento. E Grillo, anche se farà bene alle elezioni, dice di non voler essere coinvolto nel governo, quale che sia. La questione principale è se il Pd e Sel formeranno un governo da soli o se dopo il voto faranno squadra con un gruppo di partiti di centro, tra cui quello di Montezemolo. Questo, a sua volta, dipende non solo da quanto il Pd potrà avere successo nei sondaggi, ma anche da Bersani, nel caso voglia un mandato più ampio per quelli che potrebbero essere pochi e difficili anni di governo. Al momento sembra che voglia un’alleanza di centrosinistra - non da ultimo perché aiuterebbe a diluire l’influenza del suo partner della sinistra radicale, Sel. La domanda allora sarebbe cosa potrebbe ottenere il centro in cambio del suo sostegno. Dato che nei sondaggi è solo al 10 per cento, non ha molta influenza. Ma Bersani presumibilmente potrebbe fare ministri alcuni esponenti del centro, così come qualche esponente della squadra di tecnici di Monti. Potrebbe anche appoggiare Monti per l’importante, anche se non operativo ruolo di Presidente della Repubblica. Tali calcoli potrebbero ragionevolmente cambiare se Monti desse il suo assenso al partito di Montezemolo – potenziando così la sua visibilità alle elezioni e dandogli quindi il potere per caldeggiare il rinnovo del suo premierato. Ma anche se Monti è tentato dallo scenario - non da ultimo perché vuole garantire continuità alle sue riforme - farsi coinvolgere nella politica di partito sarebbe una strategia ad alto rischio. Potrebbe danneggiare una delle sue principali doti: la reputazione di imparzialità. Inoltre, anche con l’appoggio di Monti a Montezemolo, i centristi potrebbero non riuscire a raggiungere l’obiettivo del voto. Quindi lo scenario più probabile per l’Italia post-elettorale è un governo Bersani con elementi montiani. Anche se non è attraente come un governo pienamente montiano, questo scenario non è necessariamente disastroso.