Pietrangelo Buttafuoco, la Repubblica 4/12/2012, 4 dicembre 2012
FECE di un acquitrino una città: Milano 2. Fece di una tivù da scantinato un impero editoriale: Mediaset
FECE di un acquitrino una città: Milano 2. Fece di una tivù da scantinato un impero editoriale: Mediaset. Fece di una squadra nobile ma decaduta un’invincibile armata: il Milan. Fece di una maggioranza politicoculturale un ventennio di lotta e di governo, quel berlusconismo che, al netto di avanspettacolo e arci-Italia, si conclude con un incredibile fallimento. Di strategia, tattica e visione. L’unica eredità lasciata da Silvio Berlusconi, alla fine, è quella della destra distrutta. Dal seno suo è fuggita una frase rivelatrice: “Se solo ci fossero Sandra e Raimondo, metterei loro…”. Fece di tante zucche altrettanti deputati. Con tutti i destrutti in carrellata, eccoli. ALFANO, ANGELINO. Leader del Pdl finché dura. Nei giorni scorsi, in tema di improbabili primarie del partito, Cesare Previti ha espresso un giudizio assai lusinghiero su di lui. Ha detto: “E’ proprio tenero, è uno che se gli mozzi un orecchio ti porge subito l’altro”. Ma adesso Angelino non ha più orecchie da offrire. L’ultima gliel’ha masticata al telefono la Santanchè (vedi Dani), quando la Digos si portava via Alessandro Sallusti. BIBLIOFILO. Nell’era berlusconiana è sinonimo di falso. Marcello dell’Utri, dopo il falso Pasolini e il falso Mussolini, ha trovato a Palermo ha trovato una copia di se stesso, un avatar, che aspetta la sentenza mentre lui villeggia a Santo Domingo, con le cinquecentine originali di Filippo Rapisarda (che non è vero che è morto), di Vittorio Mangano (che non è vero che è morto), e di Matteo Messina Denaro (che non è vero che è vivo). Possiede anche un incunabolo di rara fattura e assai prezioso. E’ Massimo Ciancimino (ma lo ha dato in prestito alla biblioteca del tribunale di Palermo) CAVALIERE. Con il Cav — titolo abbreviato col punto pop nel segno della facilità d’uso — persino la cavalleria, blasone del vero conservatore, procede verso il definitivo tramonto. DANI. E’ Daniela Santanché. Parla al telefono con Alfano e gli mastica le orecchie di cui sopra (vedi Alfano). Ma sono immangiabili. E’ socia di Flavio Briatore, il manager del resort di Malindi. Insieme si adoperano per il secondo tempo del Cav. Ma sarà tutto un lungo intervallo, musicato da Mariano Apicella la cui iscrizione al clan dei neomelodici è stata però respinta da Nicola Cosentino: “E’ stonato come una campana, ‘stutatelo!”. ESCORT. Un tipico e fiorente mercato di destra ormai rovinato. FORMIGONI, ROBERTO. Per lui è stata creata la formula satireggiante “Associazione a delinquere di stampo cattolico” per cui la sua Cl medita di querelarlo. Malato di mattone, ha fatto a Milano quello che Stalin fece con la metropolitana di Mosca. Sulla facciata del nuovo palazzo della Regione — il cosiddetto Grattacielo Formigoni — avrebbe voluto scrivere: “Si prega di pregare”. GARBATELLA. Quartiere romano “de sinistra”. Oltre a essere il set dei Cesaroni, è la patria di Giorgia Meloni. Ex ministro della gioventù, fu pupilla di Gianfranco Fini, poi dei Colonnelli e, infine, sovrana della Festa di Atrjeu dove, nel’ultima edizione, Berlusconi non andò. Per le primarie più brevi della storia, la rude Giorgia, a rischio di flop, fece pure il photoshop. ‘GNAZIO. Fu, insieme a Maurizio Gasparri, colonnello di Gianfranco Fini. Ha già pronto il simbolo del nuovo partito. “Centrodestra per l’Italia”. Con tanto di nodo Savoia tricolore. Né Pecora (er) né Ciarra (Pico) hanno intenzione di aderire. Intravedono nell’emblema un altro tipo di nodo, quello scorsoio. HOMO, ECCE. Albano, ops, Alfano. Cainano, ops, Caimano. Bindi, ops, Bondi. Crosetto, ops, Ravetto. Starace, ops, Storace. Homo homini lapsus. ITALO, BOCCHINO. Si capì che era finita per il Cav quando le donne cominciarono a preferirgli Italo. I, I, I. Furono le tre “i”, di internet, inglese e impresa. E adesso Berlusconi chiama con le tre “i” i socialisti Renato Brunetta, Maurizio Sacconi e Fabrizio Cicchitto: “Incapaci, inutili e indigenti”. Pare che il Cav. lo dica ogni volta che li vede in tivù i suoi. Senza di me, aggiunge, non hanno manco i soldi per pagarsi i manifesti. Sono destruttiii. LOCUZIONI. La lingua italiana si destruttura. E la destra che era entrata nei libri di storia con ‘Dio, Patria e Famiglia’ sarà un giorno raccontata con le locuzioni d’epoca: l’amor nostro, bandana, bunga-bunga, briffare, cflaccido, culona, cribbio, mi consenta, dinosauro dal cilindro, dottore, farfallina, love of my life, meno male che Silvio c’è, otto milioni di barzel-lette, papi, patonza, predellino, partito dell’amore, quid, olgettina, Sua Emittenza, venite con le signore, Romolo & Remolo, utilizzatore finale. MUSSOLINI, ALESSANDRA. “Caro Lei quando c’era Lui…”. Purtroppo c’è rimasta lei. Più destruzione di così. Il suo 25 aprile è oggi. NEVE, OVVERO GIANNI ALEMANNO, SINDACO DI ROMA. Luigi Crespi, spin doctor del primo cittadino ha già allertato il municipio dell’Urbe: “Nevicherà forte anche quest’anno”. Alemanno, che è diventato sinonimo di calamità naturale, medita di acquistare una muta di cani San Bernardo equipaggiati di grappa. Ma sa già che ogni neve avrà il suo sale e ogni sale la sua ferita. Sono scherzi della natura ma la neve, questa è sicura, gli affon- da la sindacatura. ORIANA, FALLACI. Rovinata dalla destra, destrutta post-mortem. I suoi libri, che furono cult libertari e radicali, sono finiti accanto a quelli di Magdi Allam, di Renato Brunetta, di Pio Pompa e di alcuni ex terzisti, oggi in cauta ed equidistante terza via destrutturata tra Matteo Renzi e Beppe Grillo. POESIA. Dopo la destra in versi di Gabriele d’Annunzio, Filippo Tomaso Marinetti ed Ezra Pound, i poeti del berlusconismo sono stati due: Sandro Bondi e Mariano Apicella. Con Vittorio Sgarbi come vate prosaico. Ad ogni sventagliata di “capra, capra, capra!”, alzava l’audience. Oggi — con lo stesso ovino — fa crepuscolarismo: l’audience va in buio. “Ci tocca anche Vittorio Sgarbi” fu il titolo della trasmissione profeticamente poetica di RaiUno cui toccò una poeticissima fine pre-prematura. QUIRINALE. Lo chiamano il Quirinale di Sicilia. E’ Renato Schifani, già penalista, oggi statista. “E’ lo statista che tutto il mondo ci invidia”, dicono i suoi collaboratori. “Solo che non se lo prende nessuno” commenta Berlusconi che ormai da un pezzo non gli risponde al telefono. E non lo cerca. Questa destruzione non potrà che avvalorare la sua immagine. Comunque sia andata, un beneficio lo ha già avuto: tornerà a Palermo senza più il riporto che da destra si è spostato al centro. RAI, RADIO TELEVISIONE ITALIANA. In principio fu Giovanni Masotti, messo al posto di Enzo Biagi. Poi Augusto Minzolini, Antonio Socci, Gianluigi Paragone, Mauro Mazza, Pino Insegno, Angelo Mellone, Gianni Scipione Rossi (è ancora direttore, ma lo toglieranno), Pier Luigi Diaco, Mauro Masi. Tutti destrutti. SONDAGGI. Il sondaggio fu la novità ermeneutica del centro destra. Fu, per Berlusconi, quel che per la strega di Biancaneve era lo specchio. Commissionati per avere solo buone notizie, i sondaggi servivano a piegare la realtà alla vincente idea che Berlusconi aveva di se stesso. Finite le buone notizie, i sondaggi hanno fatto la fine dello specchio: tutti in frantumi. La sondaggista Alessandra Ghisleri, infatti, ne è uscita destrutta. Nei suoi sondaggi, per dire, perfino Angelino Alfano (vedi) supera Berlusconi. TULLIANI, GRUPPO DI FAMIGLIA TRA INTERNO E ESTERNO. Gianfranco Fini è nello stato di famiglia dei Tulliani, con il cognato Giancarlo e tutto il carico di parenti della moglie Elisabetta (stilista). Abita con i suoi cari nel quartiere romano di Val Cannuta. Riserva della Repubblica qual è, il presidente della Camera, pur con l’aquila imperiale svettante sul balcone (non però quel Balcone) è l’unico che non è destrutto ma distruttore. UMBERTO, IL SENATUR. E’ Bossi. Fece del proprio braccio il manico dell’ombrello. Bevve dall’ampolla del Po. Fondatore della Lega Nord, si calò in testa le corna dei barbari. Un tempo aveva al fianco Erminio Boso e già quel tipo, così tipo, segnò un’epoca e una classe dirigente non proprio pronta. E’ appena tornato da Medjugorje scortato dalla moglie, Manuela Marrone. Non ringhia più, sorride tra le candele. VESPA, BRUNO. E’ l’unico indestruttibile. Pur di non farsi distruggere, infatti, è riuscito a far piangere Bersani. E fu così che la destra ha perso pure Vespa. ZANICCHI, IVA. Cantante, conduttrice televisiva, diva dei tempi d’oro di Mediaset. E’ anche parlamentare europea del Pdl. Ha parole definitive: “Sono profondamente delusa, ho creduto in lui, ora sono nelle tenebre. Lo stimavo, quasi come una mamma o una sorella maggiore. Non lo posso perdonare. Ha sprecato un talento personale enorme, l’ha buttato al… Forse per presunzione o perché attorniato da persone sbagliate, da yes-men che gli hanno detto sempre di sì. C’è pure chi ha detto che è alto”. Gli parla da mamma e da sorella ma questo sfogo della Zanicchi è un ritorno alla sua canzone più bella. Quella che Luchino Visconti utilizzò in “Gruppo di famiglia in un interno”: “La mia solitudine sei tu”.