Fabio Novembre, Corriere della Sera 4/12/2012, 4 dicembre 2012
Nel Simposio di Platone, Aristofane racconta di quando gli umani erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non c’era distinzione tra uomini e donne
Nel Simposio di Platone, Aristofane racconta di quando gli umani erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non c’era distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due e da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, per tornare all’antica perfezione. Circa 2.500 anni dopo io mi sento veramente così, alla continua ricerca del mio complementare, e da uomo di 46 anni, eterosessuale, il mio orizzonte di riferimento è ossessivamente rappresentato dalla donna. Qualche anno fa mi fu chiesto da una rivista di raccontare con immagini le mie idee di design, arte e architettura: chiesi a mia moglie di spogliarsi e scattai delle foto. Le sue gambe erano l’idea più vicina a quel binomio forma-funzione che mi era stato inculcato all’università: il design. Il suo sedere esercitava irresistibile attrazione nonostante si trattasse tecnicamente di un cuscinetto adiposo, una vera trasfigurazione: l’arte. Il suo ventre era il luogo da cui vengo e a cui cerco sempre di tornare, la prima casa di ogni corpo: l’architettura. Nel Libro della Genesi «Adamo ed Eva erano nudi, ma non ne provavano vergogna». La nudità è la condizione di partenza per sviluppare quella confidenza dei corpi che anni di retorica oscurantista hanno minato, e la vergogna è l’ostacolo da superare per abbandonare quel senso di inadeguatezza che sviluppiamo crescendo. La visibilità dei genitali dell’uomo è all’origine della sua aspirazione scientifica alla prova esterna, alla sperimentazione, alla convalida. La donna nuda nasconde ancora un ultimo segreto, quella della tenebra da cui proveniamo, di fronte al quale la conoscenza deve arrestarsi. Dal Rinascimento al modernismo il nudo femminile dimostra che l’arte ha le sue origini e viene sostenuta dall’energia erotica maschile. Le Veneri di Giorgione e di Tiziano, rispettivamente del 1510 e del 1538, sono lì a testimoniare che in nessun paese il corpo nudo di una donna è stato idealizzato e offerto alla contemplazione dello spettatore come in Italia. Il Big Bang di chi come me ha scelto il corpo femminile come ambito di ricerca risale però al francese Gustave Courbet che nel 1866 dipinge «L’origine du monde», un quadro che ribalta il sesso esplicito del soggetto con la trascendenza del titolo. Ma se si decide di abbandonare la bidimensionalità del dipinto, c’è un altro francese, Marcel Duchamp, che con «Étant donnés» ci offre lo stesso soggetto erotico attraverso una installazione ambientale, che dopo un ventennale riserbo vide la luce nel 1966. E in questa conquista della terza dimensione non possono non essere citati due grandi come Piero Manzoni e Lucio Fontana che nello stesso anno, il 1961, producono rispettivamente «Scultura vivente» e «Concetto spaziale»: il primo firmando corpi nudi femminili li eleva direttamente al rango di opera, e il secondo che attraverso il taglio della tela ambisce al suo superamento, sublimando un’ossessione che ci riporta alla medesima «origine del mondo». Dal 1962 al 1973, anno della sua morte, ci fu un altro grande esploratore del corpo femminile come fonte di ispirazione per il suo lavoro di architetto e designer: Carlo Mollino. Le sue polaroid a soggetto erotico sono il perfetto complemento delle elaborate teorie progettuali che elaborò nel suo lavoro. E se ripensiamo alla consacrazione del design italiano avvenuta con la mitica mostra al MoMa di New York «Italy: the new domestic landscape» del 1972, io non riesco a non notare che nella locandina ufficiale comparivano un uomo vestito classicamente di nero e due donne altrettanto classicamente nude, con la piccola anomalia da anni 70 del cappello da pescatore sulla testa di una di loro. Con tutti questi giganti, sulle cui spalle ho potuto arrampicarmi, il corpo è diventato il paradigma di tutto il mio lavoro incrociando i miei percorsi di vita con quelli di altri maestri, e poi amici, come Ettore Sottsass e Gaetano Pesce. «A me bastava vedere un dito, una mano, una stoffa che si muoveva, persino un fiore che sbocciava. La primavera era un’erezione continua», scriveva Sottsass sulla prefazione di un mio libro. E la poltrona Up di Pesce del 1969 è stata la Venere di Willendorf della mia formazione da designer, senza lei come Dea Madre non avrei mai potuto pensare di disegnare Him e Her, il maschile e il femminile di un oggetto neutro come la sedia. Him e Her sono i miei Adamo ed Eva, i protagonisti di un racconto in cui quel frutto rosso che lei offre diventa il simbolo del libero arbitrio, casualmente presente sullo stesso strumento con cui progetto e scrivo queste parole. Il cerchio si chiude, Aristofane ha vinto, il ricongiungimento delle due metà è il mio più grande obiettivo, ma l’orizzonte che vedo dalla mia parte ha la forma di un concetto spaziale, l’origine e la fine del mio mondo. E comunque, ve lo dico da designer, la soluzione dei dettagli di raccordo tra il tronco e le gambe di un corpo femminile è fatta da Dio...