Alessandro Longo, Nòva24 2/12/2012, 2 dicembre 2012
FARE RETE È CREATIVO. E CONVIENE
L’insieme magmatico del crowdsourcing comincia a solidificarsi, anche in Italia. Ad assumere una struttura definita e, al tempo stesso, a ramificarsi in iniziative verticali. Lo dimostra la prima mappa del crowdsourcing in Italia; quel fenomeno secondo cui moltitudini di utenti, su internet, collaborano a un progetto. La mappa (http://ow.ly/fGwRd, online da pochi giorni) è un’iniziativa di Bruno Pellegrini, uno dei guru del crowdsourcing in Europa. Ed è a sua volta "crowdsourced": chiunque può registrarsi al sito per aggiungervi un esempio. Quando scriviamo se ne contano una ventina. Molti rientrano nella categoria "creatività": produzione di idee, di design, di video pubblicitari. Dal basso. «Stimiamo che siano 200mila gli italiani iscritti a una piattaforma di crowdsourcing creativo e circa 15mila di loro recepiscono una forma di compenso», dice Pellegrini. «Questo tipo di crowdsourcing varrà 15 milioni di euro di ricavi nel 2012, per le piattaforme che lo gestiscono, per poi passare a 100 milioni nel 2015, in Italia», aggiunge.
Sono di tipo creativo, del resto, due delle iniziative italiane pioniere del crowdsourcing: le piattaforme Zoopa (pubblicità) e Userfarm (video). Quest’ultimo è un network di 35mila videomaker che partecipano a gare e progetti proposti dalle aziende. È gestito da TheBlogTv, dello stesso Pellegrini.
È crowdsourcing creativo anche il progetto appena lanciato da Barilla: una gara per creare un video che interpreti «il valore e il piacere di essere un sugo Barilla». La giuria sceglierà 10 vincitori, con un montepremi di 10mila euro. «È la prima volta che chiediamo agli utenti internet di creare un contenuto intorno al nostro marchio», spiega Alessio Gianni, direttore digitale marketing di Barilla. «È un modo innovativo di fare marketing. Coinvolgeremo centinaia di videomaker per avere filmati che saranno visti da milioni di persone nel mondo», dice. Al momento Barilla non prevede di farne spot pubblicitari in tivù, «ma è possibile che utilizzeremo questi filmati in campagne di vario tipo».
Adesso il crowdsourcing creativo italiano si divide in due categorie. Da una parte le piattaforme indipendenti, Userfarm, Zoopa, BestCreativity (grafici e web designer), Shicon (designer), Starbytes (di Reply), 242MovieTv (professionisti di cinema e tv), che faranno insieme 5 milioni di euro nel 2012. Dall’altra, ci sono le piattaforme monomarca, come Pepsi Refreshing Project, Nissan Juke, Mediaset 8mm, Populis network (10 milioni di euro in tutto). Fuori da questo giardino c’è una grande varietà di esempi, a quanto rivela la mappa. Tra i maggiori ci sono quelli nell’ambito del supporto ai clienti. Utenti che aiutano altri utenti: un esempio internazionale è CrowdEngineering, nata a Catania da un’idea di Gioacchino La Vecchia. Fornisce un servizio di community collaborativa a grandi aziende, che vi dirottano circa il 10-30% delle richieste provenienti dai clienti. La community Vodafone Lab funziona con la stessa filosofia, ma riguarda solo quest’operatore, che la gestisce.
Meno rappresentate le categorie della "conoscenza distribuita" (Pazienti.org, TuoGuru) e dell’Open Innovation (ideaTre60, della Fondazione Italiana Accenture, per progetti di innovazione sociale).
E tutto questo senza considerare il capitolo del crowdfunding (prestiti, finanziamenti collaborativi), con piattaforme come Prestiamoci, Kapipal, Eppela, YouCapital (di Napoli e dedicato al giornalismo). In teoria il crowdfunding fa parte del crowdsourcing ma, secondo alcuni, merita di essere trattato a sé stante. Il fenomeno è nuovo, quindi le categorie sono ancora ballerine. In Italia soprattutto, visto che «da noi il mercato è meno maturo che all’estero», dice Pellegrini. Una conferma è nei numeri del crowdfunding. Secondo l’osservatorio di Massolution (Crowdsourcing.org), nel 2011 sono stati raccolti in questo modo 583,9 milioni di euro in Europa (1,469 miliardi nel mondo), attraverso 150 piattaforme, di cui solo tre in Italia. Contro le 44 del Regno Unito, le 28 della Francia, le 20 della Germania, le 18 della Spagna.
Ma il percorso è tracciato anche da noi. Non fosse altro perché il crowdsourcing fa risparmiare. Pellegrini stima un taglio dei costi del 50-70% sui progetti, rispetto all’outsourcing tradizionale. E, al tempo stesso, dà all’azienda un’aura di marchio innovativo.