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 2012  dicembre 02 Domenica calendario

CRONACHE DI CRAINZ SENZA LIETO FINE

Un traguardo significativo. Guido Crainz sforna l’ultimo tassello della storia dell’Italia repubblicana cui va attendendo da oltre un quindicennio. Il primo volume, Storia del miracolo italiano (1996), esplorava la «grande trasformazione» fra gli anni 50 e 60. Il secondo, Il paese mancato (2003), andava dalla fine del boom economico alla «catastrofe» dei 70. Il terzo, Il paese reale, appena uscito, si spinge dal crepuscolo del terrorismo rosso sino alle dimissioni di Berlusconi, novembre 2011. In tutto quasi 1.300 pagine, colme di fatti, cifre, analisi. È forse questa la sintesi più originale e stimolante dedicata al secondo Novecento, insieme alla Storia dell’Italia repubblicana di Silvio Lanaro.

Quali sono i tratti distintivi dei tre tomi di Crainz, strettamente concatenati? 1) Uno stile incisivo e senza orpelli, virtù rarissima, da noi. 2) L’ampio spazio dato alle fonti giornalistiche, per cercare di capire come gli eventi fossero percepiti in presa diretta dai contemporanei. Qui rifulgono le firme dei «carissimi nemici» Giorgio Bocca e Giampaolo Pansa, grandi storiografi del l’immediato; mentre è curioso scoprire che, all’epoca della discesa in campo di Berlusconi, fra i suoi critici più acuminati vi furono anche i futuri «cerchiobottisti» di via Solferino. 3) L’accento posto sulle «corpose e arcaiche culture reazionarie» che hanno innervato lo Stato e la società, frutto di un anticomunismo distante anni luce da quello democratico (e benemerito) di Koestler, Orwell e Chiaromonte. 4) L’interpretazione generale dell’Italia repubblicana alla stregua di un «paese mancato», incapace di tener fede alle aspettative maturate nel crogiolo degli anni Sessanta. 5) Una felice alternanza dei registri narrativi, dalla politica all’economia, dalla cultura alla società, senza trascurare l’impatto di film, libri e canzoni sull’immaginario collettivo. Una storiografia polifonica, dunque: orientata a sinistra, ma in grado di misurarsi con le ragioni del «paese reale».

Il terzo volume è un periplo nel «cuore degli anni 80». Fu allora che, secondo Crainz, giunse a compimento quella «laicizzazione senza valori» già emersa durante la fase più vorticosa del miracolo economico. Ossia, un certo «modo di essere italiani» refrattario ai vincoli collettivi e al l’etica protestante del capitalismo. Basti pensare alla solitudine di due uomini politici «inattuali»: il grand commis Bruno Visentini e l’insigne storico Giuseppe Galasso. Entrambi moderati, entrambi repubblicani, promossero severi provvedimenti contro l’evasione fiscale e il mattone selvaggio. L’ampia «indignazione» suscitata e le resistenze in gran parte vittoriose (anche da sinistra) testimoniano quanto avessero colto nel segno. Purtroppo, conclude l’autore, l’assenza di regole «non è un’opportunità per nessuno, ma la premessa di un declino comune».

È pur vero che gli anni 80 non furono soltanto il decennio dell’edonismo più reazionario, delle mazzette elevate a sistema e del debito pubblico pompato a livelli record. Sprigionarono anche indubbie energie positive, dopo la quaresima degli anni di piombo. Si pensi al mondo della moda, laico e libertino per antonomasia, oppure alla (ri)scoperta di tanti libri e autori negletti, confortata dal crescente successo delle edizioni Adelphi. Senza dimenticare che l’individualismo non è necessariamente un disvalore.

Tuttavia, nonostante il quadro sia sfaccettato, è difficile non concordare con Crainz quando dipinge i «dorati anni 80» (così li definì Francesco Alberoni nel 1986) come l’incunabolo della Seconda Repubblica. Da un lato, il cupio dissolvi della sinistra, pesce fuor d’acqua in un’Italia ormai post-industriale. Dall’altro, il pentapartito, un blocco di potere sempre più arrogante, che procede col vento in poppa verso il terremoto giudiziario del ’92. In più, l’aggravante di una società civile contigua alla partitocrazia.

Il risultato? Una generazione cresciuta «senza padri né maestri», incapace di dar vita a una vera classe dirigente. Per questo la Seconda Repubblica, sorta sulle ceneri della prima, non riuscirà a recidere nessuno dei nodi all’origine del bubbone scoperchiato da Tangentopoli. Una storia senza lieto fine, per ora.