Paolo Migliavacca, Il Sole 24 Ore 3/12/2012, 3 dicembre 2012
SETTE MILIARDI DI DOLLARI FERMANO I PIRATI IN SOMALIA
La novità è maturata nella generale disattenzione. Ma, cifre alla mano, si tratta di un fatto davvero sorprendente: da circa un anno la pirateria marittima è in netto calo. Quanto meno quella basata in Somalia, di gran lunga la più pericolosa e redditizia, mentre appare in crescita quella nel Golfo di Guinea, specie lungo le coste nigeriane (32 assalti nel primo semestre 2012, +28% rispetto al 2011). I dati per l’Oceano Indiano parlano di un autentico crollo. Dopo un tetto di 47 navi sequestrate nel 2010 e una prima diminuzione nel 2011 a 25, le unità catturate, fino a metà novembre 2012, sono precipitate a sole 5. Anche gli assalti, tentati e non riusciti, si sono fortemente ridotti, passando da 176 nel 2011 a 34 nel 2012, con un crollo dell’80 per cento. Di conseguenza sono nettamente diminuiti i riscatti pagati, da 160 milioni di dollari nel 2011 ad appena 29 nei primi otto mesi di quest’anno.
A cosa imputare questo successo clamoroso? Diversi fattori hanno concorso a favorirlo. Innanzi tutto l’adozione di misure di tipo militare. È diventato via via più efficace l’imponente dispositivo navale che molti dei Paesi interessati ai traffici mercantili nell’Oceano Indiano (Usa, Cina, India, Giappone, ma soprattutto Nato ed Europa, mediante le missioni Task Force 150 e Atalanta) vi hanno dispiegato. Inoltre, gran parte delle navi mercantili che percorrono le rotte a rischio del Mare Arabico ha adottato varie misure di protezione, attiva e passiva. Tra le prime vi è l’imbarco di personale militare specializzato, sul tipo dei due marinai italiani del battaglione San Marco, oggi detenuti in India per aver sventato un presunto assalto alla petroliera Enrica Lexie che causò la morte di due pescatori indiani. Tra le misure passive figurano la creazione di "cittadelle" blindate e impenetrabili dall’esterno comprendenti i locali più sensibili di una nave: quelli di comando, di controllo dei motori, la timoneria, le scorte viveri.
Questa sommatoria di successi non deve comunque far sottovalutare i costi economici diretti necessari per conseguirli e quelli indiretti che il protrarsi della pirateria comunque comporta. Essi si possono stimare, per il 2011, in una cifra oscillante tra 6,6 e 6,9 miliardi di dollari. Un valore sempre molto elevato, anche se in deciso calo rispetto al picco di 7-12 miliardi stimati per l’anno precedente. Secondo la One Earth Future Foundation, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, gli esborsi militari (calcolati in 1.270 milioni di dollari) rappresentano però meno del 20% del totale. Ciò significa che oltre l’80% dei costi della pirateria (5,5 miliardi di dollari) ricade sul settore civile, in sostanza sulle imprese logistiche e sugli armatori. La voce più rilevante è curiosamente costituita dall’aumento di velocità imposto alle navi mercantili: si ritiene infatti che - rispetto a un’andatura di crociera a 12 nodi, giudicata fino al 2010 la più redditizia a causa del notevole incremento dei prezzi dei combustibili - un aumento a 18 nodi renda un’unità navale quasi inattaccabile dai pirati. Ma questa misura, benché adottata solo in prossimità delle zone più pericolose, ha inciso lo scorso anno per ben 2,7 miliardi di dollari. Cui occorre aggiungere poco meno di 600 milioni legati all’allungamento delle rotte effettuato per evitare le zone di mare più a rischio.
Notevole anche il peso economico delle attrezzature difensive adottate sulle navi (dissuasori acustici molto potenti, cannoni ad acqua, barriere elettrificate o con lame di rasoio, impianti televisivi a circuito chiuso e potenti sistemi d’illuminazione dei ponti della nave, oltre alle citate cittadelle blindate), cui vanno sommati i costi dei cosiddetti "contractor" (personale civile della sicurezza), per un totale di oltre 1.110 milioni. Senza scordare il forte aumento dei premi di assicurazione (630 milioni), del costo delle paghe degli equipaggi per indennizzarli dei rischi (195 milioni) e, infine, anche l’onere stesso del riscatto delle navi sequestrate, pari nel 2011 a 160 milioni, con una media di 6 milioni per ogni nave liberata.
Ultimo, ma più importante di tutti, il costo in vite umane. Nel 2011 le vittime sono state ben 48: sei durante l’assalto alle navi, 25 decedute durante la prigionia e 17 durante vari tentativi di liberazione. In ostaggio oggi restano ancora 141 persone, in calo verticale rispetto ai 645 del 2010 a i 561 del 2011.